“Chiese inclusive per donne nuove e uomini nuovi. Edificati insieme per diventare dimora di Dio (Ef 2,22)”: è stato questo il tema della 59ª sessione di formazione ecumenica del Sae-Segretariato attività ecumeniche, che si è svolta ad Assisi a fine luglio. Tre i filoni seguiti: la questione biblico-teologica, così come è stata sviluppata e approfondita negli ultimi 50/60 anni in particolare dalle teologhe donne, soprattutto protestanti e cattoliche; la complessa questione della ministerialità; infine le problematiche legate al genere, e quindi le discriminazioni, il modello di maschilità, l’idea di famiglia e famiglie e così via. La sessione, spiega il Sae, ha affrontato “argomenti importantissimi per le nostre Chiese, per le nostre comunità grandi e piccole, ma anche per noi, considerati individualmente, perché toccherà temi che ci coinvolgono profondamente anche come uomini e donne che abitano la Terra con tutte le sue contraddizioni, le sue culture, le sue narrazioni”. Ne parliamo con la presidente del Sae, Erica Sfredda.
Presidente, perché avete scelto come tema della sessione 2023 “Chiese inclusive per donne nuove e uomini nuovi”?
Perché abbiamo constatato che ancora in molte Chiese cristiane non viene data la stessa considerazione alle donne rispetto agli uomini, per quanto riguarda i ruoli pastorali e decisionali. Inoltre, questo tema è fortemente legato a quella passione per la pluralità-in-relazione che è l’anima del cammino ecumenico. Oggi c’è bisogno di Chiese inclusive perché il mondo è cambiato, ma anche per fedeltà all’annuncio originario di Cristo, rivolto a tutti e a tutte: nei Vangeli Gesù risorto appare in primo luogo ad una donna.
Chiese inclusive vuol dire comunità che accolgono tutti e tutte, ognuno con le sue imperfezioni, con il suo modo di essere diverso e unico.
È una grande sfida ecumenica che abbiamo cercato di affrontare insieme nel dialogo, valorizzando i doni e i carismi e lasciando spazi per la crescita e la collaborazione a ognuno e ognuna, senza precomprensioni e pregiudizi.
Gesù il primo annuncio della risurrezione lo fa a una donna, Maria Maddalena, eppure le donne per millenni hanno avuto ruoli residuali in molte confessioni cristiane: a che punto siamo oggi?
Oggi in moltissime Chiese protestanti le donne possono diventare pastore, guidare una comunità, e in alcuni ambiti in cui tale figura è presente anche ricoprire il ruolo di vescovo. Nella Chiesa cattolica è in corso un vasto processo di estensione alle donne di una varietà di ministeri istituiti e si discute sulla possibilità di aprire loro il diaconato, mentre le Chiese ortodosse rimangono fedeli alla tradizione per cui i ministeri sono esclusivamente maschili, pur riconoscendo i doni che le donne in quanto tali portano alla Chiesa tutta.
Per la Chiesa cattolica Papa Francesco sta cercando di promuovere un maggior protagonismo femminile. Sul tema della donna ci sono visioni diverse nel movimento ecumenico e nelle varie confessioni?
Già prima del 1948 il Consiglio ecumenico delle Chiese in formazione era stato chiamato a dimostrare solidarietà con le donne: già era chiaro che l’unità della Chiesa poteva essere realizzata solo in una giusta comunità di donne e uomini. Nei decenni successivi il Cec ha continuato ad avere un’attenzione particolare verso la questione femminile. All’interno delle varie confessioni la situazione invece è variegata, riflettendo anche le diverse sensibilità culturali dell’Oriente e dell’Occidente. Nel mondo dell’ortodossia non ci sono documenti specifici sulla questione femminile, in quanto le riflessioni sono indirizzate a tutto il corpo della Chiesa, senza distinzioni ed esclusioni. La Chiesa ortodossa non percepisce l’uguaglianza come un livellamento; uomini e donne fanno cose diverse perché hanno diversi carismi. La Chiesa cattolica è certamente stata sollecitata dal confronto ecumenico, in particolare con il mondo protestante in cui l’attenzione al tema della donna è viva già da molti anni. Anche nel processo sinodale attualmente in corso è emerso, benché non previsto dal documento preparatorio, il tema dell’ordinazione diaconale e presbiterale delle donne. Piccoli segnali di inclusività li troviamo anche nelle Linee guida per la seconda fase del cammino sinodale in Italia: “Si avverte l’esigenza di aprire strade da percorrere perché tutti abbiano posto nella Chiesa, a prescindere dalla loro condizione socio-economica, dalla loro origine, dallo status legale, dall’orientamento sessuale”.
Quanto siamo lontani da Chiese inclusive e da essere “donne nuove e uomini nuovi”? Quali passi auspica?
È vero, le nostre Chiese non sono ancora pienamente inclusive. La ricerca di nuovi spazi e nuove pratiche di testimonianza e accoglienza è quindi prioritaria. La riscoperta e valorizzazione del battesimo che rende tutti i cristiani e le cristiane uguali potrebbe essere un passo importante in questa direzione, come anche leggere la Scrittura valorizzando il ruolo centrale delle donne come testimoni della fede e sottolineando la giustizia-che-non-discrimina come caratteristica qualificante del Regno, annunciato e condiviso.
La 59ª sessione di formazione ecumenica del Sae che contributo ha apportato al tema che avete scelto per il vostro appuntamento? È emerso qualche spunto particolarmente interessante?
La sottolineatura della complessità che dev’essere ascoltata e interpretata e che non ci permette di dare risposte definitive ma ci obbliga ad abbandonare pratiche discriminatorie ed escludenti. Perché questo possa accadere bisogna che le nostre identità confessionali siano riconosciute reciprocamente e che impariamo ad esprimerle come un dono gratuito gli uni per gli altri, le une per le altre. Al di là delle iniziative ecclesiali, vediamo che il nostro mondo è ancora molto chiuso verso le donne: sono, purtroppo, all’ordine del giorno, femminicidi, violenze di vario tipo sulle donne, oltre al fatto che ancora le donne hanno difficoltà a fare carriera, ad avere ruoli dirigenziali, ad avere stipendi come gli uomini.
Che contributo possono portare le Chiese cristiane a un nuovo modo di essere uomini e donne nella nostra società? E quanto può aiutare anche un confronto su questi temi a livello ecumenico?
Tutte le Chiese cristiane, fortemente turbate dagli episodi di violenza sulle donne troppo spesso presenti nelle cronache, sono concordi nell’affermare il rispetto per la vita e la dignità delle persone e stanno pure imparando a interrogarsi sulle loro responsabilità per questi fenomeni. Il confronto a livello ecumenico praticato nel Sae, essendo basato sul metodo del dialogo in cui ognuno e ognuna parla di sé e ascolta l’altro e l’altra fare altrettanto, può diventare un modello da utilizzare anche nella società. Esperienze come la sessione sono una palestra per costruire nuove modalità di relazione.