“Non ho mai partecipato a una Gmg, ma ricordo bene l’esplosione di gioia che ho visto negli occhi dei miei amici quando tornarono da quella celebrata a Madrid nel 2011. Allora ero troppo giovane per partecipare, quest’anno tocca a me e, come nella parabola della perla preziosa nel campo, è un’occasione privilegiata per rendermi conto di quanto sia prezioso l’amore di Dio per me e per prendere coscienza della vocazione che mi ha raggiunto”. Ana Cecìlia ha 25 anni, 10 mesi fa è entrata come postulante nel monastero trappista di Santa Maria Mãe da Igreja (Madre della Chiesa) a Palaçoulo, nella provincia di Bragança, nord del Portogallo. È una comunità di recente fondazione, nata nel 2018 con il sostegno del vescovo di Bragança-Miranda, José Cordeiro, e che ha incontrato il favore della gente del posto ancor prima della sua nascita: i parrocchiani infatti donarono 28 ettari di terreno per aiutare una presenza fondata sulla preghiera e sul lavoro nei loro territori.
Il monastero, che dev’essere ancora ultimato, nasce come “gemmazione” di quello di Vitorchiano, in provincia di Viterbo, da dove provengono le 10 fondatrici italiane alle quali si sono aggiunte una postulante, una aspirante e una monaca eremita ospite per un periodo di formazione, tutte portoghesi. La costruzione del monastero dovrebbe terminare entro la fine dell’anno, attualmente le religiose vivono nella foresteria e ai visitatori è destinata un’ala con 15 posti e un refettorio (chi è interessato può scrivere a hospedaria@trapistaspalacoulo.pt).
In questi giorni il monastero è meta di gruppi di pellegrini italiani e francesi che partecipano alla Gmg e le monache sono state invitate a momenti di animazione e preghiera con i giovani promossi nella diocesi.
Inoltre al termine dell’evento di Lisbona verranno accolti per alcuni giorni a Palaçoulo gruppi di ragazze, molte delle quali stanno verificando la loro vocazione. Nella stretta osservanza della regola stabilita da san Benedetto, la vita delle trappiste si svolge tra preghiera, meditazione e attività lavorative utili anche al mantenimento economico della comunità: dolci (biscotti, marmellate e, in ossequio alla tradizione locale, crema alle mandorle), articoli religiosi, biglietti augurali, un orto, prossimamente una vigna e liquori. Il portoghese è la lingua usata per la celebrazione della Messa e le preghiere dell’ufficio, come pure nella vita comunitaria.
“Stiamo costruendo un monastero in cui potrà abitare una comunità di almeno 35 suore, poiché siamo convinte che la vita monastica sia una forma di vita autenticamente cristiana, bella nella sua semplicità e radicalità e capace di attrarre tante persone – racconta suor Irene, maestra delle novizie –.
Il Portogallo, come tutti i Paesi europei, da tempo fa i conti con la secolarizzazione, ma anche in un clima culturale certamente non favorevole constatiamo che Dio continua a chiamare e a bussare alla porta dei giovani, che hanno bisogno di chi li aiuti a incontrare Cristo e a permettergli di parlare al loro cuore. Forse, più che le vocazioni, scarseggiano adulti che accompagnino il cammino dei giovani, ma ci sono ancora tanti religiosi e laici che testimoniano con la vita il fascino del cristianesimo.
Ana Cecìlia, la nostra prima postulante, è qui proprio grazie all’esperienza che ha fatto in parrocchia e nel suo movimento, e all’accompagnamento dei sacerdoti della sua comunità. E queste giornate legate alla Gmg di Lisbona sono per tutte noi una grande occasione per sperimentare la bellezza di una vita dedicata a Gesù”.
Il monastero di Palaçoulo è l’unica comunità cistercense presente oggi in Portogallo, una terra che peraltro è legata a questo ordine fin dalle sue origini. Nel XII secolo il giovane Afonso Henriques proclamava la nascita del regno del Portogallo e a distanza di mezzo secolo dalla fondazione del monastero di Citeaux, il primo dell’ordine, invitava nel nascente regno i “monaci bianchi” affinché vi fondassero monasteri, e nei secoli seguenti ci fu in effetti una fioritura di insediamenti che in seguito si sono estinti. Oggi, in una regione molto periferica, lo spirito di san Benedetto viene riproposto in un’epoca che ne ha dimenticato l’insegnamento ma non è insensibile al suo carisma. “Anche se l’albero sembra inaridito, la linfa continua a scorrere – commenta suor Irene –. Il nostro monastero sorge nel mezzo del ‘niente’, come un baluardo della misericordia di Dio e come testimonianza silenziosa ma eloquente che l’amore per Cristo nella Chiesa è il compimento della vita”.