“Credo sia importante, come Chiesa italiana, tenere continuamente desta l’attenzione su quanto accaduto in Turchia e sulle gravi emergenze provocate dal devastante terremoto del febbraio scorso. Se ne parla troppo poco e male, per questo è opportuno rilanciare sempre, attraverso la nostra testimonianza, il bisogno di vicinanza e di prossimità che vive questo popolo”. Sono le parole di don Marco Pagniello direttore nazionale della Caritas italiana appena rientrato dalla Turchia per uno scambio di informazioni sulla situazione in atto dopo il devastante terremoto che, nella notte tra il 5 e il 6 febbraio, ha provocato 57.700 vittime accertate (tra Turchia e Siria). Con lui una delegazione di Caritas italiana composta da don Antonio De Rosa (assistente di studio) e Laura Stopponi (équipe Europa). “A Iskenderun (Alessandretta) – prosegue don Marco – si è svolto un incontro con Caritas Anatolia. Solo nella diocesi di Anatolia ci sono almeno 3.200 palazzi da demolire e oltre 900 da mettere in sicurezza. Troppo famiglie vivono ancora in tende o container con enormi disagi. La maggior parte di loro oltre alla casa e al lavoro ha perso persone care, tutti i propri affetti”.
Don Marco, quale lo scopo della visita?
Scopo della visita è dire a questa terra: non siete soli! Caritas italiana accompagna da tempo questa Chiesa e continueremo a farlo ancora di più in questo difficile momento, attraverso la presenza dei nostri operatori, qui a lavorare con voi, e rispondendo, stando in Italia, alla nostra vocazione di advocacy e di animazione.
Che situazione avete trovato?
Una situazione difficile. Si fatica a rimuovere le macerie, che sono causa di grande inquinamento per le polveri emanate, è pesante l’emergenza sanitaria data l’assenza di acqua potabile in molte località, accompagnata dal caldo insopportabile. Devo dire però che abbiamo anche trovato una comunità che vuole fare bene la sua parte, coesa, una comunità che è in ascolto delle persone colpite dal terremoto, delle loro diverse esigenze, ed è pronta ad accompagnare. È quello che ha già fatto in questi primi mesi. Non solo la comunità cristiana, ma tutta la comunità locale si è unita e si è stretta attorno a chi ha perso casa o ha perso i propri cari. La solidarietà ricevuta è notevole e grande la riconoscenza, ma c’è ancora tanto da fare. Inoltre, non è sempre comprensibile quale sia il progetto del Governo per la ricostruzione. Ci sono campi di container o di tende, già tutti occupati. Ma quello che conta sono le comunità che vogliono fare la propria parte. Una comunità che ha voluto subito ricominciare a lavorare perché crede con forza che soltanto mettendo a disposizione le proprie risorse si possono superare le attuali difficoltà.
Alla luce di quanto visto che tipo di intervento pensate di mettere in atto?
Caritas Italiana, così come in tutte le emergenze si pone a fianco delle Caritas del luogo, in questo caso delle Caritas attive in Turchia e di altre Caritas della rete internazionale, mettendo a disposizione il proprio know how, la propria esperienza e le risorse raccolte, frutto in gran parte della colletta nazionale e dei tanti contributi spontanei che sono arrivati sin dall’inizio e che continuano ad arrivare alla nostra Caritas. Accompagnamento attento, discreto alla Caritas in Turchia, accompagnamento delle comunità, desiderio di restare presenti anche dopo questa prima fase dell’emergenza, di volersi occupare soprattutto di donne e minori che qui vediamo essere particolarmente a rischio. Donne forti e coraggiose, che hanno però bisogno di essere sostenute nel proprio lavoro e nell’educazione dei propri figli.
C’è una forza locale sulla quale puntare per una collaborazione in loco?
In questo primo momento si sta cercando di conoscere le realtà e le associazioni locali per capire con quali è possibile stringere alleanze. Qualcosa si sta già sperimentando. In tanti campi si sono instaurati rapporti di scambio e anche di finanziamento da parte delle Caritas in Turchia e di Caritas Italiana per assistere le persone in situazione di particolare difficoltà. Tra queste non possiamo dimenticare i profughi, soprattutto afghani, curdi e siriani che rappresentano, anche per il loro numero, una grande sfida da affrontare insieme a tanti altri. Credo che l’accoglienza e la promozione delle minoranze etniche, in questo momento soprattutto dei siriani, sia la grande sfida che ci sentiamo di accogliere, sostenendo in particolare, in questo caso, la Caritas diocesana dell’Anatolia, che accompagniamo anche con la presenza di nostri operatori in loco, nella collaborazione con l’equipe diocesana e per il lavoro di progettazione e supervisione.
Al di là della necessaria donazione, in che modo, come chiesa in Italia, possiamo sostenere l’intervento Caritas in Turchia?
Rinnovo l’invito a tutta la Chiesa italiana a pregare per la popolazione turca. Credo anche che sia importante come Chiesa italiana rilanciare continuamente quanto sta accadendo perché purtroppo la complessità di questo tempo, ma le tante emergenze in corso hanno fatto passare in secondo piano il terremoto in Turchia con le sue tante migliaia di vittime. Se ne parla troppo poco, a volte se ne parla anche male. Dobbiamo quindi pregare, informarci e informare. Rilanciare attraverso la nostra testimonianza il bisogno di vicinanza e di prossimità che vive questo popolo.