“Tutti abbiamo bisogno di bene comune. Se manca quello, vale la logica del più forte e del ‘me ne frego’ e questo è quello che la pandemia ha recentemente rivelato: tutti dobbiamo aiutarci. Tutti siamo sulla stessa barca”. Lo ha detto il card. Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana, intervenendo ieri sera, mercoledì 7 giugno, a Roma, nella parrocchia di S. Luigi di Monfort, a un incontro promosso dalla cooperativa Casa Betania e cooperativa “L’accoglienza” onlus, sul tema dell’accoglienza. L’incontro si inserisce nel percorso “Famiglie in rete 2023”, in corso in questa settimana per celebrare i 30 anni di Casa Betania. Siamo tutti sulla stessa barca, ha rimarcato il cardinale, citando l’esempio delle alluvioni in Emilia Romagna: “Le alluvioni sono state un qualcosa di incredibile, ma hanno vinto la solidarietà e la voglia di rimettersi in piedi e di aiutarsi. L’apparenza spesso è più importante della realtà, ma questa situazione c’ha insegnato che bisogna rimettersi a lavorare. Dobbiamo aiutarci, non vivere da estranei o addirittura da nemici”. Per Zuppi si deve rifuggire da questa logica. Al contrario, “si deve restare uniti e farsi prossimi all’altro”.
La prima accoglienza inizia con la gentilezza. Richiamando poi l’enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti”, il presidente della Cei ha sottolineato “l’importanza della gentilezza, che non è solo un problema di buona educazione, ma più che altro una questione di sguardo verso tutti. Non è un qualcosa di inutile, è riguardo, premura, attenzione. Tutto inizia dalla gentilezza, dal non guardare il mondo attorno in modo indistinto o con indifferenza”. “La gentilezza disarma, fa sorridere, obbliga e aiuta a ingentilire l’altro – ha precisato il card. Zuppi -. Pertanto è la prima forma di accoglienza: sei tu, ti incontro, ti vedo.
L’altro esiste!”.
Il cristiano è sempre un professionista. “Spesso siamo respingenti – il monito del cardinale – e, allo stesso tempo, quando siamo respinti ci restiamo male. Ci sono tanti modi di essere gentili che permettono all’altro di venire fuori. Questa è l’accoglienza. Non è schedare una persona e poi capire cosa posso fare per lei. È fare, chiedere, interessarsi. Ci si deve interessare all’altro in difficoltà e non magari, ad esempio, indirizzarlo da un professionista, che pure è molto utile, adducendo la scusa che noi non lo siamo.
Se siamo cristiani siamo dei professionisti e siamo tenuti a esserlo”.
“Quanta sicurezza ci serve per vivere?”, ha chiesto il cardinale. “Passiamo la maggior parte del tempo a decidere chi accogliere e chi no, quando dovremmo solo renderci conto che il tema dell’accoglienza non riguarda solo gli stranieri, riguarda tutti. È uno spettro pericolosissimo nel quale possiamo cadere anche noi. Allo stesso modo natalità e accoglienza sono due facce della stessa medaglia. Sono la stessa cosa. I nostri nonni non avevano nessuna certezza del futuro quando hanno messo al mondo delle vite pur con tantissimi problemi”. “Ma è bella una vita senza problemi o con dei problemi futili che ci creiamo?”, si è chiesto il card. Zuppi, indicando
“l’amore come via per risolverli e per una vita bella. La sicurezza viene dall’amore. L’amore è accoglienza. L’accoglienza ci porta sempre il futuro e se manca quella manca il futuro. Se vogliamo un futuro, quindi, non dobbiamo avere paura”.
Cerchiamo sempre la vita dall’inizio alla fine. Il cardinale ha poi ricordato la vicenda di Giulia Tramontano, la ragazza incinta uccisa dal compagno, esprimendo “profondo dolore per due vite spezzate” e affermando con forza l’importanza della “sacralità della vita, che ci aiuta a vivere bene. Quando sembra tutto possibile e posso scegliere tutto mi faccio e faccio del male. Cerchiamo sempre la vita dall’inizio alla fine. E non la troveremo nelle dipendenze o nelle paure, ma solo nell’amore”.
“Costruiamo la pace!”. Concludendo il suo intervento il card. Zuppi si è soffermato anche sul suo recente viaggio in Ucraina. “Non ci rendiamo conto o abbiamo dimenticato cosa vogliono dire i bombardamenti, cosa vuol dire vedersi ammazzare i genitori. Abbiamo dimenticato la tortura. Non dobbiamo solo pregare – ha detto -, ma anche spendere la pace che abbiamo per chi non ce l’ha. La pace è sempre molto debole. Quindi ricordiamoci di pregare per la pace ed essere postulatori di pace. Non permettiamo mai all’odio di prendere il sopravvento. Costruiamo la pace!”.