“Non sapevo che cosa aspettarmi perché incontravo Papa Francesco per la prima volta. Pensavo che avremmo scambiato soltanto qualche parola e, invece, abbiamo dialogato a lungo e pregato insieme. E’ stato molto speciale, per me, davvero commovente”. Con queste parole l’arcivescovo di York Stephen Cottrell, il secondo per importanza nella gerarchia della “Chiesa d’Inghilterra”, fa un bilancio dei suoi quattro giorni trascorsi a Roma, dal 20 al 24 maggio, segnati da incontri con i Dicasteri responsabili per l’evangelizzazione, l’ecumenismo e il dialogo interreligioso.
“Penso che il Santo Padre svolga un ruolo importantissimo, nel dialogo ecumenico, perché, col suo esempio e la sua dedizione ai poveri, è riuscito a irrompere nel cuore dei cristiani di altre denominazioni”, aggiunge ancora l’arcivescovo di York, “E’ il motivo per cui cosi tanti anglicani si sentono vicini a lui e vengono toccati profondamente dalle sue parole”.
Quali sono stati i frutti più importanti della sua visita a Roma?
Sono stato ospite del Centro Anglicano di Roma, diretto dall’arcivescovo Ian Ernest, che Papa Francesco ha salutato come un vecchio amico. Spero che la mia visita sia servita a rafforzare il lavoro fatto da questo centro per promuovere il dialogo ecumenico. Un momento molto importante è stato l’incontro con il cardinale Luis Antonio Tagle, Pro-Prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, per un dialogo sul tema “L’impatto ecumenico sull’evangelizzazione”. Anche lo scambio con il cardinale Kurt Koch, Prefetto del Dicastero per la Promozione dell’unità dei Cristiani è stato significativo.
Quali sono stati i momenti più importanti di questo dialogo?
Abbiamo riso e pianto e raccontato aneddoti. Penso che questi momenti siano stati anche più importanti delle parole che abbiamo detto. Spero che chi ci guardava e ci ascoltava abbia visto due fratelli in Cristo, che condividevano le loro esperienze, nel rispetto reciproco, e che le differenze che esistono tra le nostre due Chiese si siano affievolite. E spero che il nostro incontro possa essere stato un momento e un segno della Chiesa che Dio ci chiede di diventare.
Quali sono gli ostacoli più difficili da superare perché si possa raggiungere l’unità tra cattolici e anglicani?
Penso che ci siamo cosi abituati ad essere separati, nei lunghi secoli dalla Riforma di Enrico VIII, che non riusciamo a immaginare quella Chiesa unita che Dio vuole da noi. I cattolici sono cattolici, nella loro Chiesa e gli anglicani fanno altrettanto. Ci rispettiamo ma stando su due linee parallele. L’ostacolo più grande è, quindi, un ostacolo di immaginazione. Non penso, però, che unità vorrà mai dire uniformità. Ci saranno sempre differenze, all’interno della Chiesa, perché essa è il Corpo di Gesù Cristo, fatto di tante parti diverse. Ho sperimentato, a Roma, che l’ecumenismo è qualcosa che fai e che, più lo pratichi, più riesci a vedere le nostre differenze da una nuova prospettiva. Forse, in questo modo, ci sentiremo frustrati, magari anche scandalizzati, dal fatto che ci siamo abituati alla nostra disunità e questo ci spingerà a cambiare. Come ha detto Papa Francesco è importante che “camminiamo insieme, lavoriamo insieme, preghiamo insieme”.
Molti momenti di preghiera comuni, tra le due Chiese, sono concentrati nella settimana per l’unità dei cristiani ma durante l’anno sono piuttosto rari.
A Roma, alla fine del nostro incontro, abbiamo pregato insieme, con Papa Francesco, recitando il “Padre Nostro”. Quel “Nostro” non è per nulla scontato. E’ un gesto molto radicale perché significa che siamo sorelle e fratelli, figli dello stesso Dio, finalmente uniti. Con quell’unica parola “Nostro” ci impegniamo per la nostra unità. A Roma mi sono accorto che il progresso, nel viaggio ecumenico, comincia dalla preghiera, che è sempre un’esperienza che trasforma, e mi sono anche convinto che devo cercare più opportunità di pregare con le mie sorelle e i miei fratelli cattolici. Nei prossimi mesi mi darò da fare per trovare queste nuove occasioni di preghiera e incoraggerò altri a fare altrettanto.