Un viaggio intorno al mondo in 15 mesi, ora raccolto in un volume, “Il carisma della presenza e della speranza” (Salesiani Don Bosco). E’ quello che ha appena compiuto il rettor maggiore della Congregazione Salesiana, don Ángel Fernández Artime, per incontrare la famiglia salesiana, dopo la fine della pandemia, ovunque è stato possibile. “Incontrare, incoraggiare, rivedere e ripartire con gioiosa speranza”: così don Giuseppe Costa, suo segretario e co-portavoce, nonché curatore del libro, definisce l’itinerario compiuto dal decimo successore di Don Bosco , che annovera tra i suoi compiti più importanti quello di guidare una Congregazione mondiale che opera in 136 Paesi del mondo non solo da remoto, stando nella sede centrale a Roma, ma quanto più possibile di persona. Perché niente, neanche nell’era digitale, può sostituire il valore della presenza e della relazione, in primo luogo con i giovani, destinatari privilegiati della pedagogia salesiana elogiata e ringraziata a più riprese da Papa Francesco fin dall’inizio del pontificato. Il rettor maggiore, da quando – nel 2014 – è alla guida della famiglia salesiana, ha già visitato circa 100 opere sparse per il mondo. Dopo l’interruzione nel biennio 2020-2021, a causa dell’esplosione della pandemia da Covid-19, ha ripreso nel 2022 il suo ruolo da “globetrotter”, caratteristico anche degli ultimi papi, con una serie di tappe – puntualmente ripercorse e documentate nel libro, con un ricco corredo di immagini – che fino al marzo del 2023 lo hanno portato in terra iberica, in due Paesi africani (Zimbabwe e Zambia), sulle orme della missione salesiana in Thailandia, in Ungheria, in Francia, a Brasilia e a Belo Horizonte, in sei Ispettorie dell’India (in due periodi diversi), in Croazia, negli Stati Uniti e in Canada, in Perù e in alcune regioni italiane.
“Credere nei giovani”, “essere fedeli ai giovani”, “dar vita ai sogni dei giovani”
– come annota anche il sociologo Franco Garelli nella Prefazione – le espressioni più usate per descrivere queste esperienze di contatto con le diverse anime salesiane che nel mondo attualizzano il carisma di don Bosco e testimoniano la validità del “sistema preventivo” e del criterio che può renderlo efficace: quel “sacramento salesiano della presenza tra i giovani”, come viene definito dal rettor maggiore, che favorisce la conoscenza, produce condivisione, crea scambio e passione educativa.
“Essere un’altra Valdocco”,
l’indicazione di rotta più recente, che ha a che fare con la perenne validità dell’ispirazione originaria di don Bosco nella Torino dell’Ottocento. Rispondere a questo imperativo, per i salesiani di ogni latitudine, significa rinnovare e declinare localmente una scelta educativa che ha ormai assunto un carattere universale proprio a motivo del suo carattere squisitamente popolare. Stare accanto, infatti, a quella che don Bosco chiamava la “gioventù povera e abbandonata” comporta, oggi, la capacità di essere a fianco dei giovani più a rischio, quelli scartati dalla società perché abitano il disagio delle “periferie geografiche ed esistenziali” tanto care alla Chiesa in uscita sognata da Bergoglio. In questa prospettiva, allora, il viaggio di don Ángel porta il carisma di don Bosco ben oltre i confini confessionali: in Asia, ad esempio, i salesiani sono presenti in zone del mondo in cui la popolazione è al 90% di cultura musulmana o buddista, in terre di confine o contaminate in cui il passaporto del dialogo e del confronto è d’obbligo. Come in Thailandia, nelle terre devastate il 26 dicembre 2004 dallo tsunami, che ha causato il più grave disastro naturale dell’era moderna. Per il decimo successore di don Bosco, conoscere “una piccola, ma bellissima presenza salesiana situata in un luogo di dolore profondo” ha voluto dire sperimentare, per contrasto, un vero e proprio “tsunami” che ha il sapore del riscatto. “Il mio cuore – racconta nel libro – si è riempito di gioia quando ho saputo che il 12% i questi ragazzi e ragazze di don Bosco sono andati all’università. Il 15% ha proseguito gli studi tecnici nelle nostre scuole professionali e più del 50%, dopo aver terminato la scuola pubblica, ha trovato un lavoro con cui iniziare la propria vita in autonomia. Ecco perché il dolore dello tsunami oggi lascia il posto alla bellezza della speranza”.