«Perché mi dici “bentornato”, io non me ne sono mai andato!».
Una voce irrompe nel silenzio in cui si affollano deserti interiori sconfinati, fragilità lamentevoli non ricomposte, tenebre di non conoscenza e di non corrispondenza.
È Lui, lo Spirito Santo, che riprende la Parola (tutta “insegnata”) e prova a fare Verità (“tutta intera”), dinanzi al più grande equivoco vigente: Dio esiliato, l’eternamente presente che risulterebbe assente.
Quando ci decideremo a dare evidenza alla Sua presenza, alla Sua potenza, coscientizzando il “già e il non ancora” di una Pentecoste che mai avrà fine e con la quale tutto sempre ricomincia? D’incanto, vedremmo una Chiesa pura, un mondo riordinato, una fede confessata, una carità praticata, una misericordia salvifica.
Eppure, chi ha mai dubitato che Lui “ci sia? È Dio! E Dio non ha certo abbandonato il campo!
Ma come opera, cosa stia compiendo e, soprattutto, quali novità e soluzioni lo Spirito Santo voglia apportare alle nostre vite, non sembra prioritario nelle nostre agende.
Chi, davvero, se ne dà conto, a partire da chi ha funzioni di guida, di governo, di animazione della storia umana?
Chi lo sta desiderando, invocando, attendendo, facendo spazio dentro e fuori di sé?
Chi, svegliandosi, in questi giorni, saluterà il familiare, l’amico, il fratello augurando con gioia e speranza: “Buona Pentecoste”, così come si fa dicendo “Buon Natale” e “Buona Pasqua”?
Non è un modo di dire “bentornato!”. È il solo modo per onorare una nuova Pentecoste, perché non sia l’ennesima venuta “a vuoto” dello Spirito. E, stiamone certi, ne renderemo conto, perché “non si nomina il nome di Dio invano!”.
Continueremo a inanellare Natività e Risurrezioni “mancate” finché non sarà la Pentecoste a farci “riavvolgere” il nastro della nostra fede, i fotogrammi sgranati di una vita cristiana nominale, che se non inizia con l’effusione dello Spirito non ha nulla di nuovo, né divenire, né celeste futuro.
Ora, molti sono già in ginocchio a causa delle severe prove dell’esistere e del vivere in famiglia, in società, in comunità, in ambienti violentati dall’insipienza umana che continua a sfidare la natura delle leggi e le leggi della natura, certo non prostrati per “adorare lo Spirito di Dio” (come confessiamo nel Credo): in ginocchio, dunque, non per elezione, bensì per umana condizione. Ebbene, è questo un ottimo palcoscenico per “ribaltare” la situazione, per elevarsi dalla misera terra al provvido Cielo, per lasciare gemere lo Spirito orante e rialzarsi con una forza nuova, con una gioia inedita, con un dinamismo mai prima esperimentato.
Sì, perché dello Spirito si può parlarne per intima esperienza più che per razionale conoscenza. E quando il cuore comunica alla mente e la volontà si accorda all’irruzione di un nuovo amore, allora tutto cambia: noi siamo prodigiosamente diversi, irriducibilmente spirituali, capaci di Dio, portatori del divino. E perché no, segnati dall’irruzione di nuovi doni e carismi, ministeri e missioni.
Bentornato a Te, Spirito Santo, che mai mi hai abbandonato, perché da Gesù Ti sono stato consegnato con il Suo “andarsene” per il Tuo “venire”!
Bentornato a Te, Spirito Santo, che il mio ritorno hai atteso, come Dio umile che vuole farmi grazia, per rendermi grazioso.
Bentornato a Te, Spirito Santo, che nulla mi imputi delle mie svogliate lentezze, dei miei colpevoli ritardi, delle mie reiterate omissioni, delle mie orgogliose presunzioni, delle mie ingiustificate disaffezioni: della mia lingua incapace di pregare; dei miei occhi incapaci di illuminare; delle mie orecchie incapaci di risonanza; delle mie mani e dei miei piedi consumati dall’ozio e dal negozio.
Chissà che non sia la volta buona per dire: Vieni, Spirito Santo!
E sia Pentecoste! Bentornato, Spirito Santo!