“Concedimi, Signore, di passare nel mondo a porte spalancate, con la mia casa interamente vuota, disponibile, accogliente”. Era il 14 agosto 1971, nell’immaginetta dell’ordinazione sacerdotale, don Franco Alfieri aveva deciso di scrivere il suo programma di vita. Quella di un prete sempre in movimento, sempre pronto ad ascoltare e a compromettersi per le buone ragioni degli altri. Un mistico della vita ordinaria, un contemplativo di città. “Don Franco aveva sempre tempo per tutti. Era facile trovarlo, bastava conoscere i suoi orari per incontrarlo, per parlare con lui o per chiedergli aiuto, un consiglio, una mediazione in qualche situazione controversa. A lui interessava liberare le coscienze, rendere il posto in cui viveva migliore di come lo aveva trovato”, racconta Luca Caiazzo, uno dei ragazzi che gli è stato più vicino.
Chi lo ha conosciuto parla di lui come di “un uomo innamorato della vita, con una visione esaltante, affascinante del mistero del dolore e della sua potenzialità di risurrezione, uomo di virtù; era sempre molto esigente verso se stesso, comprensivo con gli altri e disposto a ricominciare ogni giorno per non fermarsi mai”. “Sono dolente di non aver vissuto sempre con incandescenza il mio incontro con la vita”, scrive nel suo testamento.
La vita e l’impegno di don Franco. Don Franco un prete che ha lavorato per la piena edificazione ecclesiale e per radicare la novità del Concilio, il suo “pallino” era la formazione, continua, permanente e popolare: di comunità. Si formava per formare, per offrire a tutti, nella comunità, a scuola e all’Università, gli strumenti di liberazione sociale e di autonomia del pensiero, per veder maturare un territorio inquinato dal malaffare, dalla corruzione e da una politica clientelare, mediocre e volgare che in quegli anni poco si distanziava da faide e camorra.
È stato parroco a Cascano di Sessa Aurunca per pochi anni, di San Rufino a Mondragone (per 38 anni) e della stessa città, rettore della Basilica Minore della Patrona, la Madonna Incaldana, per 7 anni. Il sacerdote era solito ripetere a chi gli chiedeva come facesse ad essere sempre in movimento, nonostante l’incombere del tempo: “Il segreto è avere sempre un sogno da realizzare”. Don Franco era un prete giovane, non solo per la freschezza intellettuale (studiava fino a notte fonda, leggendo più libri contemporaneamente e scrivendo di continuo) ma la “giovinezza” di questo prete era radicata nell’attento e curioso ascolto delle aspirazioni dei giovani di ogni lustro. Don Franco è stato un vero ricercatore, un inesausto scopritore dell’interiorità dei giovani. La sua fierezza era saper entrare in empatia con i suoi interlocutori: tutti, nessuno escluso. Era facile vederlo per strada mentre “corteggiava” qualche persona lontana dalla comunità ecclesiale, sapeva voler bene i lontani dalla fede senza voler propinare loro un discorso morale o strettamente religioso, per questo frequentava anche i bar, i circoli ricreativi e altri luoghi di aggregazione. Parlava da persona libera, da sapiente: guardava negli occhi e toccava chi gli stava davanti con la profondità del suo pensiero cristallino ed incompleto… ovvero, cercava delle domande audaci più che delle risposte consolanti da dare.
Gli studi teologici, i due dottorati (uno in Teologia dogmatica e un altro in Storia e Beni culturali della Chiesa) e la laurea in Filosofia alla Federico II di Napoli, sono stati la risposta e il conseguente impegno per animare e servire la Chiesa come educatore appassionato e travolgente. La sua opera pastorale in cinquant’anni di sacerdozio lo ha portato ad occuparsi di numerosi incarichi fino alla nomina nel 2014 di vicario generale della diocesi di Sessa Aurunca, e oltre i confini nazionali come delegato italiano al Consiglio presbiterale Europeo (fino al 2019).
Un poeta per vocazione. Fondamentale, per comprendere lo sguardo di contemplazione che aveva sulla realtà, una passione maturata negli anni ’80: la poesia. Per don Franco la composizione poetica non è alienazione intellettuale ma canto di gratitudine, una consapevole presa di coscienza della bellezza racchiusa nella vicenda di ogni umana esistenza oltre ogni categoria e condizione. I personaggi, i protagonisti e gli antagonisti delle sue poesie, ora espliciti, ora velati, sono le persone del suo tempo, una narrazione che vede il buono ed il bello anche nel mistero del dolore, della sconfitta e della morte. Un cammino che va dal cuore umano e traghetta le drammaticità umane nell’amore sconfinato del Padre. La poesia così prepara alla preghiera, si presenta quale teologia in cammino: don Franco non era un esegeta intellettualoide, dipanava la Parola nei suoi versi per offrirla nel contesto della bellezza vitale che la poesia evoca secondo la sensibilità di ognuno. A chi ha il senso della fede, provoca il calore dell’incontro con la Parola, a chi ignora il “credere” stimola la domanda sulla vita, sul suo senso e l’ammirazione sul Gesù storico. Un sacerdote-poeta innamorato della ferialità del quotidiano: ha gettato sprazzi di luce sulla drammaticità del vivere, attraverso registri di linguaggio, in particolare quello ermeneutico-filosofico, cadenzando con i suoi versi la vita agreste del territorio, inondando di un profumo di primavera anche i tempi gelidi e aridi, e questo è ancora possibile rileggendo la sua opera letteraria. Le ansie, i dolori e i travagli dell’umanità trovano voce e residenza nel suo narrare poetico. È riuscito a cantare la vita anche nel tempo pandemico attraverso una piccola raccolta titolata “Virus. Un mistero tenebroso (per uscirne vivi… anche nell’anima), ed ammalatosi anche lui, dopo un mese di vane terapie, è spirato il 4 novembre 2020.
Una trilogia poetica dedicata a Papa Francesco. Papa Francesco ha entusiasmato don Franco sin dal primo momento. È il 13 marzo 2013, la sera dell’elezione disse: “Questo papa farà la rivoluzione!”. Don Franco aveva una passione ecclesiale di derivazione strettamente conciliare: “sentire cum Ecclesia”. L’avvento di Papa Francesco trovò in lui una affinità nel pensiero e nello stile pastorale: leggeva e rileggeva i suoi discorsi, studiava i documenti, le encicliche e le esortazioni apostoliche, seguiva i viaggi e si interessava degli incontri del nuovo papa. Don Franco vedeva che la Chiesa della Lumen Gentium finalmente veniva tradotta in sinodalità, comunione, partecipazione e missione: nel 2016 compose “Francesco. Un papa proprio così”, un testo destinato a divenire trilogia poetica sul ministero del vescovo di Roma. Testo che è stato consegnato delle persone più vicine al sacerdote proprio a Papa Francesco, mercoledì 24 maggio, al termine dell’udienza generale.
La prefazione al volume I è a firma di mons. Orazio Francesco Piazza, vescovo di Sessa Aurunca fino al 2022, che si focalizza sul linguaggio poetico di don Franco, quale cartina al tornasole di una stagione di rinnovamento e purificazione che, coinvolgendo tutti i battezzati, ridefinisce parole ed etimologie essenziali, per lungo tempo dimenticate. Nella presentazione al volume II (2020) l’autore scrive: “Lode a te Francesco perché credi nella poesìa, quella che, ben lungi dalle tante deduzioni filosofiche e dalle tante trancianti erosioni dello spirito, povero si aggira come clochards sulla scena della storia e siamo, senza te, foglie morte trascinate senza vita verso il dèlta di ogni umano sbocco sull’oceano”. La prefazione al secondo volume è affidata al padre gesuita Domenico Marafioti, superiore della Comunità del Collegio dei Professori Gesuiti di Napoli. Il testo è suddiviso in sei sezioni, introdotte da alcuni numeri della Evangelii gaudium. La convinzione di don Franco è che la poesia sia la strada che apre alla possibilità di “comporre il convito delle differenze, l’armonia delle diversità”, poiché ogni uomo può ritrovare i suoi sentimenti e si affratella al poeta, vivendo un’intimità del cuore. Il volume III è stato pubblicato postumo alla morte del sacerdote. Al testo originale vi è un’unica aggiunta: il Congedo dell’Autore e cinque ultime poesie, testi molto lunghi, che con ogni probabilità potevano essere il continuo dell’opera in una nuova veste. Infatti, erano rispettivamente la Presentazione e l’inizio di un Preambolo alla Trilogia, un’opera di sintesi del Poema stesso. Il testo del Preambolo è a firma del vescovo emerito di Caserta, mons. Raffaele Nogaro, amico ed estimatore di don Franco (fu anche vescovo di Sessa Aurunca); la Prefazione, guida alla lettura dell’opera, è di mons. Domenico Battaglia, arcivescovo di Napoli (che al momento della composizione era vescovo di Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata de’ Goti). Per il presule, “la mistica meridiana” di don Franco è “un’esperienza di autenticità, di bellezza, di ricerca della gioia nelle fenditure della vita, ai margini e lontano dalle mondanità spirituali, denunciate da Francesco sin dall’inizio del suo servizio universale”.