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Sinodo. Card Grech: “Richiede tempo ma è una chiamata da parte del Signore”

Il cardinale Mario Grech, segretario generale della Segreteria Generale del Sinodo ha visitato la comunità di Corviale, celebrando Messa e incontrando i Cantieri che si sono attivati nella parrocchia di San Paolo della Croce. Questo incontro ai piedi del palazzo lungo un chilometro, periferia geografica ed esistenziale di Roma, è stata anche l’occasione per fare il punto sul cammino stesso del Sinodo, sul suo significato e su come viene percepito tra i fedeli. Il cardinale Grech ha risposto ad alcune nostre domande.

Il Cardinale Mario Grech, segretario generale della Segreteria Generale del Sinodo ha visitato la comunità di Corviale, celebrando Messa e incontrando i Cantieri che si sono attivati nella parrocchia di San Paolo della Croce. Questo incontro ai piedi del palazzo lungo un chilometro, periferia geografica ed esistenziale di Roma, è stata anche l’occasione per fare il punto sul cammino stesso del Sinodo, sul suo significato e su come viene percepito tra i fedeli. Il cardinale Grech ha risposto ad alcune nostre domande.

Perché è importante questo Sinodo? Qual è il contributo che può dare al cammino della Chiesa?
È tutto, perché una Chiesa sinodale è una Chiesa che coinvolge tutti i battezzati, che fa tesoro delle chiamate, dei carismi, dei ministeri che lo Spirito dona alla Chiesa, e tutti insieme poi partecipiamo ad una stessa missione: aiutare l’uomo di oggi a conoscere il Signore Gesù.

Nel dare avvio al cammino sinodale, nel 2021, lei ha detto: “Non abbiate paura di farci sapere le vostre paure” e di fronte alle incertezze di un cammino sinodale che non si sapeva dove avrebbe portato, ha chiesto a tutti di mettere in campo incertezze, perplessità, timori. Con una sola certezza: che il Sinodo è “casa paterna e materna”. Nei suoi incontri, in questi due anni di attività, ha riscontrato questo tipo di condivisione?
Sì, ho incontrato gente entusiasta perché ha capito o sta capendo cosa vuol dire questa chiamata, ho incontrato anche persone che all’inizio avevano queste paure, queste incertezze, ma ora anche loro sono entusiaste e partecipano a questo cammino. Tuttora incontro gente che ha queste perplessità e questo non mi sorprende, perché la sinodalità non è qualcosa di nuovo; quando ero all’incontro di Beirut, all’assemblea sinodale per le Chiese Orientali, un Patriarca mi disse: “questo dovrebbe essere un cammino penitenziale, perché la sinodalità era un dono, un gioiello della Chiesa, dei primi secoli e l’abbiamo perso”. Dico questo per sottolineare che nonostante il Santo Padre stia facendo questa chiamata nuova, niente è nuovo; è un invito per conoscere meglio la Chiesa: chi siamo noi. Capisco le difficoltà ma abbiamo bisogno di tempo, il Santo Padre dice sempre: Noi iniziamo dei processi e i processi hanno bisogno di tempo, in modo che niente venga forzato o imposto, ma tutti con l’aiuto dello Spirito, ci convinciamo che questa è la chiamata del Signore.

Sempre all’inizio, ha aggiunto anche che “il Sinodo non è un processo democratico” lanciando due provocazioni: fare a meno del voto sinodale, per evitare di creare una maggioranza e una opposizione; e consegnare il documento del Sinodo prima alle Chiese locali e poi al Papa. È questa dunque la linea?
Ripeto quello che dice il Santo Padre: la Sinodalità non è la democratizzazione della Chiesa perché la Chiesa è costitutivamente sia Sinodale sia gerarchica: noi abbiamo il dono che il Signore ha fatto alla Chiesa del Ministero del Vescovo, che ci assicura che stiamo sulla strada giusta; il vescovo è quello che conferma la validità del discernimento e perciò il discorso del voto per me stona, perché nelle nostre riunioni non cerchiamo di vincere sugli altri, ma cerchiamo di ascoltare insieme lo Spirito e lo Spirito è uno. Abbiamo anche bisogno di imparare ad aspettare l’uno e l’altro a fare un cammino in modo che questo discernimento comunitario, ecclesiale, con l’aiuto dello Spirito arriveremo all’unanimità, a una posizione condivisa. Sono conscio che questo non sarà facile e che ci sarà bisogno di tempo, tempo, tempo.

Qual è il ruolo dei laici e perché è importante che i laici facciano conoscere il proprio pensiero e si sentano protagonisti del Sinodo e della Chiesa stessa? E la Chiesa – intesa soprattutto come gerarchia ecclesiastica – ascolta il Popolo di Dio?
Siamo il Santo Popolo di Dio, nel battesimo abbiamo ricevuto il dono dello Spirito Santo, come discepoli siamo diventati templi dello Spirito, e lo Spirito è attivo in tutti e parla tramite tutti, anche tramite i peccatori. Allora tutti quelli che hanno ricevuto il battesimo hanno il dovere di comunicare quello che loro sono convinti che lo Spirito sta comunicando tramite loro per il bene della Chiesa. Dopo l’esperienza delle assemblee continentali, risulta che quasi tutte le assemblee hanno notato il guadagno che hanno avuto da quella che si chiama conversazione nello Spirito: quando ci incontriamo non lo facciamo per cambiare le opinioni o per dibattere, ma per fare un discernimento insieme e perciò anche i laici sono protagonisti ma il protagonista numero uno è lo Spirito Santo. E dunque invece di separare i laici dalla gerarchia o peggio ancora, di contrapporre laici e gerarchia, bisogna ricordare che siamo in comunione, siamo il Santo popolo di Dio, siamo una Chiesa dove tutti, secondo le nostre chiamate, carismi e ministeri, ci aiutiamo per arrivare a conoscere la volontà del Signore.

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