Viviamo in una società sempre più secolarizzata, eppure la sete di Dio e di un senso ai nostri giorni non svanisce, anzi. Molti in ricerca traggono forza e risposte anche grazie a pellegrinaggi in santuari dove si respira un clima di raccoglimento e forte spiritualità. L’Italia è ricca di santuari, da Nord a Sud. Quest’anno il vescovo delle diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e di Foligno, mons. Domenico Sorrentino, è stato nominato, ad quinquennium, assistente ecclesiastico del Collegamento nazionale santuari. A lui chiediamo come si può sviluppare una pastorale dei santuari in modo che diventino centri propulsori di evangelizzazione permanente.
Eccellenza, il Collegamento che ruolo svolge?
La parola lo dice: collegare. I santuari italiani sono tanti e delle più diverse tipologie. I fedeli vi giungono con un’esigenza di spiritualità, spesso profonda e illuminata, altre volte con la fede dei “semplici”. Non mancano, infine, i visitatori che vi arrivano con esigenze culturali, artistiche, o semplicemente di curiosità. A differenza delle parrocchie, i pellegrini dei santuari sono saltuari, anche se spesso, con una certa periodicità, ripetono le loro visite. Il Collegamento aiuta i rettori e gli operatori dei santuari a mettere insieme le loro esperienze, ad avere momenti formativi comuni, ad organizzare eventi condivisi.
In un tempo di forte secolarizzazione, ma anche di grande sete di senso, quanto i santuari possono aiutare a ritrovare la fede?
Se il ministero pastorale nei santuari è svolto bene, i santuari possono essere autentici avamposti di evangelizzazione.
Essi hanno, rispetto alle altre chiese, una sorta di identità “carismatica”. Vi si percepisce una speciale presenza soprannaturale. Quando sono legati a titoli speciali di Dio e della Vergine, hanno l’attrazione che deriva, oltre che dal mistero contemplato, anche dal loro essere memoria dei tanti pellegrini che nel tempo hanno riversato in quei luoghi le loro preghiere e spesso le loro lacrime. Se sono legati a santi e beati, i fedeli vi trovano il Vangelo riflesso nella vita. Quello dei santuari è un clima di intensiva esperienza di Dio ma anche di profonda esperienza della nostra umanità. Il tempo che vi si spende è in genere breve, ma può essere di grande impatto spirituale. Una grande responsabilità per chi vi rende il suo servizio.
In Italia ci sono molti santuari, lei è stato pastore a Pompei, dove c’è un importante santuario mariano. Nel nostro Paese i santuari sono prevalentemente di ispirazione mariana?
I santuari mariani sono certamente molti. Si va a un santuario mariano come si va alla casa della Madre. La mia esperienza di Pompei è stata in questo particolarmente istruttiva. Lo sguardo dei pellegrini rivela un dialogo vero, sentito, fiducioso, con Maria. Si sente che, affidandosi a Maria, non si va perduti. E Maria porta a Gesù, lo addita, lo consegna. È Lui il Salvatore.
Una delle responsabilità di quanti si dedicano ai santuari mariani è quella di fare in modo che la devozione mariana diventi sempre più “cristocentrica”.
Lei ora è vescovo ad Assisi, dove c’è un altro importante santuario, quello della Spogliazione, dove sono accostati un santo, Francesco, e un beato, Carlo Acutis, che possono parlare ancora molto ai cuori dei nostri contemporanei, giovani e meno giovani. Che esperienza si sta vivendo ad Assisi con questo santuario?
Il santuario della Spogliazione affonda le radici nella storia, ma, come santuario, è un nuovo tassello nel mosaico santuariale assisano. Ha registrato in pochi anni una adesione che stupisce, soprattutto considerando che moltissimi sono i ragazzi e i giovani che vi giungono.
Francesco e Carlo sono un “team” incredibile.
L’immagine del Poverello, che si spoglia di tutti i suoi beni per essere di Cristo e dei poveri, e l’immagine del beato, nella sua santità giovanile, sorridente, tutta del nostro tempo, ma insieme così solida e profondamente eucaristica, danno insieme una indicazione di vita che coinvolge profondamente. All’ingresso del santuario le due immagini sono rappresentate insieme, con le mani che additano Gesù. In modi diversi, Francesco e Carlo veicolano lo stesso messaggio.
Nel suo decreto di nomina c’è la “ferma speranza” che lei possa contribuire allo sviluppo della pastorale dei santuari in Italia. Come renderli centri propulsori dell’evangelizzazione permanente?
Ho accolto con gratitudine questo incarico, sapendo di avere tanto da apprendere, proprio attraverso la conoscenza e il collegamento di quanti sono impegnati in questo ambito pastorale. Nei santuari si trova un servizio di accoglienza, di catechesi, di celebrazioni specialmente eucaristiche, di confessioni, di svariate pratiche di pietà, in particolare il Rosario, con sussidi, esposizioni, guide, “ex voto”, che sono possibili strumenti di evangelizzazione.
Con il loro servizio , i santuari possono essere di grande aiuto all’evangelizzazione. Sono certamente di sostegno alla pastorale ordinaria delle parrocchie, alla quale essi non si sostituiscono e alla quale devono rinviare.
Alcune circostanze prossime, come il Giubileo del 2025 o il centenario francescano ed altre date significative dei singoli santuari, potranno offrire nuove opportunità. La pastorale dei santuari è fatta di tante cose, ma io mi auguro che per tutti l’impegno prioritario sia rimettere tra le mani e nel cuore delle persone il Vangelo. Bisogna cominciare da qui.
Nei santuari un elemento molto forte è rappresentato dal fatto che i fedeli si riavvicinano più facilmente al sacramento della riconciliazione?
Certamente è uno dei punti di forza di tanti santuari, soprattutto se il sacramento della riconciliazione è ben celebrato e organizzato. Un ambiente, in cui si è aiutati a “convertirsi”, è anche l’ambiente più favorevole per riversare i propri peccati tra le braccia della divina Misericordia e cominciare una vita nuova. L’ho sperimentato tante volte sia a Pompei sia ad Assisi. Ma sappiamo anche che il sacramento della riconciliazione attraversa una crisi storica. Va rilanciato.
Come incoraggiare ancora di più i pellegrinaggi in questi luoghi carichi di fede e spiritualità?
I santuari esercitano da se stessi un’attrazione e non hanno bisogno di crescere per via di “propaganda”.
La loro forza è nella “gratia loci”: come dire, viene dall’alto.
È chiaro, tuttavia, che una maggiore conoscenza e informazione può aiutare. Il Collegamento può offrire in questo una circolazione di idee ed esperienze utili. La differenza poi la fa sempre l’informazione data da persona a persona, da chi ha fatto esperienza, quando nei santuari si trova non solo la loro grazia specifica, ma anche un servizio di qualità.
Possono aiutare iniziative come la Notte dei santuari?
Credo proprio di sì. Ma è iniziativa “straordinaria”, utile nella misura in cui l’ordinario si svolge nel migliore dei modi.