
Romano di nascita, sacerdote da 32 anni, da 12 responsabile della pastorale vocazionale del Vicariato di Roma, don Fabio Rosini conosce bene il “terreno” della Diocesi dove “la messe è abbondante, ma sono pochi gli operai!”. Quella della vocazione al sacerdozio è “una sfida” che affronta da tanto e sulla quale è intervenuto decine di volte con articoli, incontri e confronti. Alla vigilia dell’ordinazione di undici nuovi sacerdoti per la Diocesi, riflette che, basandosi sui numeri, “c’è poco da rallegrarsi”. Senza giri di parole spiega che se a Roma, cuore della cristianità cattolica, città da oltre tre milioni di abitanti suddivisi in circa 340 parrocchie, vengono ordinati solo undici preti in un anno, considerando l’incremento dell’età media sacerdotale e di tutti i sacerdoti che raggiungono i 75 anni terminando il loro servizio, “vuol dire che fra qualche anno non avremo più i sacerdoti sufficienti per le parrocchie”. Quello delle vocazioni nella Città eterna non è un problema nuovo per don Rosini il quale rimarca che “storicamente Roma ha sempre avuto poche vocazioni”. Il problema, però, non è tanto la mancanza di “operai nella vigna del Signore” ma un errore di lettura storico della situazione, “l’errore endemico” che la Diocesi si è trascinato per anni, ossia quello di “dopare” i numeri dei seminaristi accogliendo candidati non romani. Ancora oggi molti ragazzi vogliono venire a Roma a farsi preti “ma bisogna dubitare di questo tipo di autopresentazioni, sospettando che alla base non ci sia l’amore per Cristo e il desiderio di mettersi alla Sua sequela, bensì il pensiero ‘di fare carriera’ o, se si viene da paesi poveri, ‘di sistemarsi lavorativamente’ – spiega -. Negli anni ’60 erano le diocesi che mandavano alcuni candidati, come una generosità ecclesiale, e per questo ancora oggi, in mezzo alla generazione più matura, trovare un prete romano è raro”. E se da un lato questo è positivo, perché sono queste vocazioni da “fuori sede” che ancora oggi “tengono in piedi la Diocesi”, dall’altro bisogna fare i conti con il fatto che “la mancanza di vocazioni romane manifesta lo stato di una Chiesa sterile”. Utilizzando una metafora, don Fabio Rosini spiega che a Roma non sono i pesci da pescare che mancano ma è l’acqua stessa in cui dovrebbero nuotare i pesci che manca. “Quando divenni incaricato di questo servizio, nel 2011, cercai di capire i numeri reali e scoprì che nelle parrocchie i gruppi giovanili erano composti, mediamente, da non più di una decina di giovani – afferma il direttore del Servizio alle vocazioni del Vicariato di Roma -. È evidente che non sono le vocazioni che mancano, non sono i seminaristi a scarseggiare, ma i grandi assenti sono proprio i cristiani in genere”. Quindi non mancavano le vocazioni ma il popolo di Dio. Per il sacerdote negli anni si è rischiato di “continuare a fare una pastorale vocazionale che cercava di specializzare un materiale inesistente e non ci si è occupati di far crescere il popolo di Dio. Abbiamo continuato a dare per scontata la fede e la conseguenza è che non ci sono vocazioni. Bisogna annunziare il Vangelo, formare cristiani – chiosa -. Il cristianesimo non è un’etica, non è una filosofia come ha più volte detto Papa Benedetto XVI e come oggi ribadisce Papa Francesco”. Per uscire dall’impasse la ricetta proposta da don Fabio è quella di ripartire dall’annuncio evangelico, di rivedere l’impostazione del catechismo dell’iniziazione cristiana che “continua ad avere un modello scolastico e non esistenziale”, di riportare il centro del kerygma nelle famiglie: “i veri seminari”. Il popolo di Dio, aggiunge don Fabio, “non è cresciuto perché è crollata la famiglia come istanza educativa cristiana. L’anno liturgico, che è il vero cammino che condividono tutte le realtà ecclesiali, è crollato nelle case dove non si fa più il digiuno in Quaresima e dove il Natale è diventato un evento pagano scisso da un’esperienza di preghiera. È necessario fare una pastorale delle famiglie ad hoc perché se i ragazzi vengono da famiglie veramente cristiane nelle quali si prega, ci si addestra al servizio e al perdono, allora sì che avremo ottimi preti. Ma se non si parte da un incontro personale con Cristo non avremo cristiani e quindi avremo sempre meno preti. Bisogna formare famiglie cristiane. Siamo in un diluvio culturale ed è tempo di costruire un’arca, che poi era una barca di coppie”. Il sacerdote richiama quindi alla necessità di formare le coppie di sposi e di addestrare famiglie che siano, come sono sacramentalmente, delle piccole chiese che fungano, quali sono, i migliori luoghi di formazione. Per questo lo scorso anno ha salutato “con simpatia” l’iniziativa di Papa Francesco di pubblicare, in occasione dell’Anno “Famiglia Amoris Laetitia”, il documento del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita “Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale”. “Chi si prepara al matrimonio – conclude don Fabio – si prepara a costruire una piccola chiesa”. Da queste famiglie può arrivare una nuova generazione di presbiteri.