In un film del 2016 Martin Scorsese, ispirandosi a un romanzo di Shusaku Endo, racconta la storia di missionari Gesuiti in Giappone nel diciassettesimo secolo. “Silence” è il titolo del film. La repressione contro i cristiani che erano cresciuti con eccezionale rapidità in quel Paese così remoto all’Occidente, era spietata da parte degli “inquisitori”. Con un semplice gesto le persone sospette venivano spinte a rinunciare alla loro fede cattolica, evitando, così, indicibili torture: calpestare l’immagine di Gesù e di Maria, sputare su un crocifisso o insultare pesantemente la Madre del Signore. Chi si rifiutava di osare un simile sacrilegio veniva messo alla prova con tecniche di rara crudeltà: appeso a un legno e bagnato con acqua bollente, sottoposto all’urto delle alte maree finché tutto il corpo non si fosse imbevuto d’acqua, oppure avvolto in una coperta di paglia e bruciato vivo.
Dinanzi a simili orrori i missionari si chiedevano se fosse giusto resistere o se fosse opportuno, invece, abiurare. Si sentivano colpevoli di quelle stragi. Dinanzi all’atroce destino di persone semplici, di quei piccoli che credevano in Lui, coloro che annunciavano il Vangelo si vedevano caricati della responsabilità di quelle insopportabili conseguenze. E allora i Padri gesuiti si trovavano a invocare disperatamente il Signore, a implorarne il Nome graffiando un Cielo muto, a querelarlo con le Sue stesse parole: “perché mi hai abbandonato?”.
Il Suo silenzio scottava più di quell’acqua bollente che gli aguzzini versavano copiosamente sulla loro pelle crocifissa. Il Suo silenzio era soffocante più di quanto non fossero le ondate dell’alta marea.
Ma c’era ancora qualcosa che faceva male sino a dar loro il sentire del morire: era la loro fede. Quella Sua assenza che bruciava come un fuoco ardente, insopprimibile, penetrante, “chiuso nelle mie ossa” come avrebbe detto il profeta Geremia (cf Ger 20,9). Sentendo le urla di quegli innocenti che andavano a morire sicuri della Grazia, certi del Paradiso, i Padri soltanto, alla certezza che Dio avrebbe esaudito la loro preghiera, aggiungevano il pungolo dell’ultima domanda: avrà udito anche il loro grido? Un gemito estremo, un’eco dell’anima che risuona a tutto campo in questo Sabato Santo.
Dove il Suo Silenzio può essere suffragio della voce potente dell’Imperatore di turno che afferma a pieni voti il suo successo: qui, sulla terra, governo Io, dominando sulla vita per mezzo della morte e non c’è posto per un altro re che, al contrario, si faccia Diacono, che voglia rendere dignità a tutti i viventi, calpestando la morte e la sua vergogna per sempre. In questo Sabato Santo dove il Suo Silenzio potrebbe rivelarsi soltanto l’assurdità di un sacrificio troppo costoso, persino scandaloso, per giustificare la consolazione di una pasqua pagata a caro prezzo.
“Piacer figlio d’affanno gioia vana, ché frutto del passato timore” scriveva Giacomo Leopardi criticando la logica retributiva del dolore, l’idea che la vera gioia possa essere pagata dalla pena passata. Altro è il Silenzio dei credenti, altro è il nostro Silenzio. Altro il Silenzio della Madre, altro il Silenzio del Padre, altro il Silenzio del Figlio. Altro il Silenzio degli innocenti e dei penitenti. Delle sorelle e dei fratelli. Dei vecchi e dei bambini. Di quelli che tra loro, in ogni parte del mondo, azzerano i confini, distruggono le guerre, cancellano la parola “nemico” e si chiamano amici. Esso nasconde l’ascolto di un grido. È il grido della terra che – devastata dall’ingordigia umana – “geme e soffre nelle doglie del parto” (Rm 8,22), nasce alla libertà, sorride a una Bellezza muova (cf Gen 1,1-2,2); è il grido della vittima che vede la sua vita riscattata dalla mano mite di un Angelo (cf. Gen 22,1-18); è il grido dei migranti davanti alla pietà del mare che da tomba si fa grembo (cf. Es 14,15-15,1); è il grido dell’abbandonata che insiste e resiste fino al ritorno dello Sposo (cf Is 54,5-14). È il grido dell’Amore, più forte della morte. A chiamare la Vita. È il Silenzio assordante di un grido di Speranza.