41 mila morti: è questo il bilancio provvisorio del sisma che il 6 febbraio scorso ha colpito Turchia e Siria. Oltre 35mila solo in Turchia, almeno 6 mila quelli in Siria. Per l’Unicef sarebbero coinvolti sette milioni di bambini. Con il passare dei giorni aumentano le richieste di aiuto della popolazione terremotata. La comunità internazionale si sta mobilitando e il Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha annunciato che le “Nazioni Unite stanno lanciando un appello umanitario da 397 milioni di dollari per la popolazione della Siria devastata dal terremoto che coprirà un periodo di 3 mesi”. Intanto 35 Ong hanno chiesto un accesso illimitato e un aumento della risposta umanitaria in Siria. In prima fila a portare aiuto alla popolazione c’è la Chiesa locale che ha aperto le porte di chiese e conventi per accogliere chi ha perso tutto. In campo anche Caritas Siria: circa 300 operatori da giorni stanno distribuendo materassi, coperte, cibo e acqua ai terremotati di Latakia, Hama e Aleppo. Con loro anche quindici giovani volontari dell’Emergency response unit di Caritas Libano.
“Si tratta di una prima risposta all’emergenza resa possibile dall’aiuto di partner internazionali, tra cui Caritas Italiana che da molti anni ci sostiene in diversi progetti” dice al Sir il direttore di Caritas Siria, Riad Sargi che guarda oltre l’emergenza: allo studio della Caritas un piano di interventi con un team di ingegneri per verificare la stabilità delle abitazioni, il loro possibile restauro in vista del rientro dei terremotati.
Direttore, quali sono i bisogni primari della popolazione terremotata siriana?
Stiamo portando aiuto nelle zone più colpite della Siria, in particolare ad Aleppo, Latakia e Hama. I nostri operatori e volontari, circa 300, lavorano in modo particolare in queste zone distribuendo cibo, acqua, coperte, materassi, kit sanitari e per l’igiene personale. Questi sono i bisogni principali al momento. Si tratta solo di una prima risposta all’emergenza terremoto. Ma l’aiuto materiale non basta: la popolazione è letteralmente sotto shock dopo aver visto abitazioni crollare e i loro amici e parenti morire sotto le macerie. Nemmeno 12 anni di guerra, e a marzo entriamo nel 13°, hanno prodotto tanta distruzione. C’è anche chi ha perduto la propria casa che aveva ricostruito a fatica nonostante la guerra ed oggi è doppiamente sfollato. In migliaia ancora dormono nelle auto, nei rifugi allestiti nei centri cittadini, nelle chiese e nelle scuole.
Cosa è emerso dai sopralluoghi che avete fatto nelle zone più colpite dal sisma?
Nei giorni scorsi abbiamo fatto dei sopralluoghi ad Aleppo e in centri vicini con il nostro staff e il patriarca melkita, Youssef Absi, presidente dei vescovi cattolici di Siria. Siamo stati nei centri di accoglienza, nelle scuole e in tutti quei luoghi dove la popolazione ha trovato rifugio. Abbiamo lasciato aiuti per migliaia di famiglie. Ci siamo recati anche a Latakia per distribuire altri aiuti. Le condizioni sanitarie nei centri di accoglienza sono terribili e l’emergenza igienico-sanitaria è enorme. Nei prossimi giorni faremo il punto della situazione con altre organizzazioni umanitarie e con i nostri partner per cercare di dare una risposta mirata ai bisogni che stanno emergendo tra i terremotati.
Si parla molto di aiuti rallentati dalle sanzioni…
Contiamo molto sull’aiuto di altre Caritas a livello internazionale e delle agenzie umanitarie che fanno capo alla Roaco (Riunione Opere Aiuto Chiese Orientali). Stiamo ricevendo aiuti ma al momento riusciamo solo ad usare i fondi già depositati nei nostri conti bancari perché per far arrivare denaro in Siria oggi chiede lunghi tempi di attesa, a volte anche di un mese. Ora pare che le sanzioni siano state congelate per sei mesi e questo renderà più facile far transitare il denaro. Tuttavia fino ad oggi non è cambiato molto. Continuiamo a usare il denaro in nostro possesso ma non sarà così ancora per molto. Siamo in attesa di avere gli aiuti dai nostri partner.
Quali sono i prossimi passi di Caritas Siria per venire incontro ai terremotati?
I prossimi passi saranno quelli di aiutare finanziariamente le famiglie a ricostruire le proprie case o ad andare in affitto. Ci vorrà del tempo perché questo accada. Stiamo lavorando all’organizzazione di una unità di crisi in grado di assumersi questo compito. Intendiamo lanciare un appello ai nostri partner per una colletta a sostegno delle nostre attività sul terreno.
La Cei ha deciso di indire una colletta nazionale per il 26 marzo come “segno concreto di solidarietà e partecipazione ai bisogni materiali e spirituali delle popolazioni terremotate”…
Si stima che il 90% della popolazione siriana viva in povertà a causa della guerra e della crisi economica che ne è scaturita, aggravata dalla pandemia da Covid. Oggi un normale stipendio del settore pubblico si aggira sui 12 dollari al mese. Dopo il terremoto che accadrà? Ad Aleppo abbiamo visto e ascoltato situazioni e storie terribili. Gente che a malapena riesce a racimolare un panino al giorno e che dorme dove trova riparo. Abbiamo bisogno di tutto. Confidiamo nell’aiuto del Prefetto della Congregazione per le chiese orientali, mons. Claudio Gugerotti che sarà in visita alle popolazioni terremotate da venerdì 17 febbraio. Sarà prima a Damasco e domenica ad Aleppo dove è prevista una riunione con tutte le organizzazioni e chiese cattoliche nella quale lo metteremo al corrente della situazione.
Porterete aiuto anche nelle zone del nord controllate dagli oppositori del Governo siriano?
Siamo pronti a portare il nostro aiuto nel nord della Siria, a Idlib e nelle zone vicine dove ci sono villaggi cristiani. Al momento non abbiamo autorizzazione ad operare in quella zona. La priorità, in questo caso, è la sicurezza del nostro staff. Ma siamo pronti ad andare appena le condizioni lo permetteranno. Il Governo siriano ha autorizzato l’apertura (solo temporanea, ndr.) di altri due valichi per permettere il passaggio dei convogli umanitari dal nord. Sembra che la popolazione locale rifiuti gli aiuti provenienti da Damasco. Nei villaggi cristiani, vicini a Idlib, come Knaye, Yacoubieh e Gidaideh, la situazione è drammatica. Raggiungerli dalla parte controllata dal Governo è troppo rischioso. Ma speriamo di andare presto anche lì.