“Quando la vita cristiana perde di vista l’orizzonte dell’annuncio, si ammala: si chiude in sé stessa, diventa autoreferenziale, si atrofizza. Senza zelo apostolico, la fede appassisce”. Ne è convinto il Papa, che in Aula Paolo VI ha iniziato oggi un nuovo ciclo di catechesi, “dedicato a un tema urgente e decisivo per la vita cristiana: la passione per l’evangelizzazione, cioè lo zelo apostolico”. “La missione è l’ossigeno della vita cristiana: la tonifica e la purifica”, ha esclamato Francesco, ricordando che “la comunità dei discepoli di Gesù nasce apostolica, missionaria, non proselitista”.
“Essere missionario, apostolico, evangelizzare, non è lo stesso di fare proselitismo”,
ha precisato a braccio: lo Spirito Santo plasma la Chiesa in uscita, “perché non sia ripiegata su sé stessa, ma estroversa, testimone contagiosa di Gesù – la fede si contagia – protesa a irradiare la sua luce fino agli estremi confini della terra”. Può succedere, però, che l’ardore apostolico, il desiderio di raggiungere gli altri con il buon annuncio del Vangelo, “diminuisca, divenga tiepido, a volte sembra eclissarsi”: “Sono cristiani chiusi, non pensano agli altri”. Al termine dell’udienza, un ennesimo appello a non dimenticare la “martoriata Ucraina”, che “sta sperimentando crudeli sofferenze”, e a pregare per la pace in quel “caro Paese”.
“Gesù non si ferma negli aggettivi, sempre cerca il sostantivo”,
il riferimento alla chiamata di Matteo, al centro dell’udienza odierna: “Gesù va alla persona, al cuore: questo è un uomo, questa è una donna. Gesù va alla sostanza, al sostantivo, mai all’aggettivo. Lascia passare gli aggettivi”. “In pochi vedevano Matteo così com’era”, ha fatto notare il Papa: “Lo conoscevano come colui che stava seduto al banco delle imposte. Era infatti esattore delle tasse: uno, cioè, che riscuoteva i tributi per conto dell’impero romano che occupava la Palestina. In altre parole, era un collaborazionista, un traditore del popolo. Possiamo immaginare il disprezzo che la gente provava per lui: era un pubblicano”. “Ma, agli occhi di Gesù, Matteo è un uomo, con le sue miserie e la sua grandezza”, ha osservato Francesco: “E mentre tra Matteo e la sua gente c’è distanza, Gesù si avvicina a lui, perché ogni uomo è amato da Dio. ‘Anche questo disgraziato?’. ‘Sì, anche questo disgraziato. Anzi, Lui è venuto per questo disgraziato’. Lo dice il Vangelo: ‘Io sono venuto per i peccatori, non per i giusti”. “Questo sguardo, che vede l’altro, chiunque sia, come destinatario di amore, è l’inizio della passione evangelizzatrice”, la tesi del Papa: “Tutto parte da questo sguardo, che impariamo da Gesù”. “Possiamo chiederci:
com’è il nostro sguardo verso gli altri?”. E l’invito: “Quante volte ne vediamo i difetti e non le necessità; quante volte etichettiamo le persone per ciò che fanno o pensano! Anche come cristiani ci diciamo: è dei nostri o non è dei nostri?
Questo non è lo sguardo di Gesù: Lui guarda sempre ciascuno con misericordia, anzi con predilezione. E i cristiani sono chiamati a fare come Cristo, guardando come Lui specialmente i cosiddetti lontani”. Come si legge nel Vangelo, “la prima cosa che fa Gesù è staccare Matteo dal potere: dallo stare seduto a ricevere gli altri lo pone in movimento verso gli altri; gli fa lasciare una posizione di supremazia per metterlo alla pari con i fratelli e aprirgli gli orizzonti del servizio”. “Questo fa Cristo e questo è fondamentale per i cristiani”, ha proseguito Francesco: “Noi discepoli di Gesù, noi Chiesa, stiamo seduti aspettando che la gente venga o sappiamo alzarci, metterci in cammino con gli altri, cercare gli altri?”.
“È una posizione non cristiana dire: ‘che vengano, io sono qui’”,
ha commentato a braccio: “Vai tu a cercarli, fai tu il primo passo”.
“Non dobbiamo attendere di essere perfetti e di aver fatto un lungo cammino dietro a Gesù per testimoniarlo; il nostro annuncio comincia oggi, lì dove viviamo”, l’esortazione finale: “E non comincia cercando di convincere gli altri, ma testimoniando ogni giorno la bellezza dell’amore che ci ha guardati e ci ha rialzati”. “E se ho questa bellezza, è comunicare questa bellezza a convincere la gente, non noi”, ha precisato il Papa a braccio:
“Noi siamo quelli che annunciano il Signore, non annunciamo noi stessi o un’ideologia politica”,
il monito ancora fuori testo.
“Come infatti ci ha insegnato Papa Benedetto, la Chiesa non fa proselitismo. Essa si sviluppa piuttosto per attrazione”,
ha affermato Francesco citando il suo predecessore: “Quando vedete dei cristiani che fanno proselitismo, che fanno una lista di gente, questi non sono cristiani, sono pagani travestiti da cristiani, hanno il cuore pagano”. Poi il Papa ha raccontato a braccio un episodio accaduto in ospedale a Buenos Aires, quando un gruppo di suore coreane sono andate per aiutare. Il giorno dopo aver preso possesso della casa, “sono scese a visitare gli ammalati, ma non parlavano una parola di spagnolo, parlavano solo coreano. E gli ammalati erano felici: ‘Sono brave queste suore’. ‘Cosa ti hanno detto?’ ‘Niente, ma con lo sguardo mi ha parlato’. Hanno comunicato Gesù, non loro stesse. Comunicare Gesù, non noi stessi: questa è l’attrazione, contraria al proselitismo”.