Benedetto XVI e la lotta contro gli abusi nella Chiesa

Con Papa Benedetto XVI avviene una svolta decisa in tutta la Chiesa riguardo alla lotta contro gli abusi. Già all’inizio degli anni duemila, mentre la crisi dei preti abusatori si manifestava soprattutto nella chiesa nordamericana, egli iniziò ad affrontarla, in accordo con Giovanni Paolo II, per contrastare il discredito che si stava diffondendo su tutta la gerarchia cattolica. Il cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, superava i 75 anni, ma invece di ritirarsi si trovava di fronte ad un nuovo gravosissimo impegno.

Foto Calvarese/SIR

Con Papa Benedetto XVI avviene una svolta decisa in tutta la Chiesa riguardo alla lotta contro gli abusi. Già all’inizio degli anni duemila, mentre la crisi dei preti abusatori si manifestava soprattutto nella chiesa nordamericana, egli iniziò ad affrontarla, in accordo con Giovanni Paolo II, per contrastare il discredito che si stava diffondendo su tutta la gerarchia cattolica. Il cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, superava i 75 anni, ma invece di ritirarsi si trovava di fronte ad un nuovo gravosissimo impegno. Così rilanciò l’attenzione sulle cause profonde degli abusi: la debolezza della spiritualità del clero e della custodia del celibato, un dono e un compito difficile da tenere vivo senza una vita spirituale stabile e una regola di vita osservata.

I provvedimenti canonici, come il Motu Proprio Sacramentorum Sanctitatis Tutela (del 30 aprile 2001) completati più tardi dalle Norme sostanziali “circa i delitti più gravi, riservati alla Congregazione per la dottrina della fede” (del 21 maggio 2010) nascono da una rinnovata sensibilità, sua e di Giovanni Paolo II, che si è tradotta in un capovolgimento della prassi fino ad allora seguita, per dare più spazio alla giustizia nelle comunità, superando le resistenze delle posizioni più “garantiste”.

Il testo più completo, approfondito ed articolato però su questo tema resta la Lettera ai Cattolici d’Irlanda del 19 marzo 2010. La crisi che aveva colpito la chiesa irlandese con vari casi emersi e la pubblicazione di due rapporti di commissioni nominate dalle autorità civili, aveva indotto Benedetto XVI a convocare a Roma tutti i vescovi del Paese; a rivolgersi all’intero popolo di Dio per richiamarlo ad un impegno di penitenza, rinnovamento e conversione; a dare orientamenti pastorali nei diversi campi della comunità cristiana per le diverse categorie di fedeli, per una lotta senza incertezze e compromessi per estirpare la piaga degli abusi; infine a decidere una visita apostolica delle diocesi e dei seminari del Paese.

In questa Lettera il Papa sottolineava anche il contesto della crisi: la secolarizzazione della società e in parte dei membri della Chiesa, anche sacerdoti o religiosi; l’indebolimento della fede e del rispetto per gli insegnamenti dottrinali; tutto ciò unito ad una tendenza ad evitare approcci penali nei confronti di situazioni canoniche irregolari. Proponeva quindi rimedi indilazionabili per correggere “le procedure inadeguate per determinare l’idoneità dei candidati al sacerdozio e alla vita religiosa; l’insufficiente formazione umana, morale, intellettuale e spirituale nei seminari e noviziati; una tendenza nella società a favorire il clero e altre figure in autorità e una preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa e per evitare gli scandali che hanno portato come risultato alla mancata applicazione delle norme canoniche in vigore e alla mancata tutela della dignità di ogni persona”(n. 4). Un testo ancora attualissimo anche per le altre Chiese.

Su questa linea sono stati i suoi interventi nel corso del pontificato, nei discorsi, negli incontri numerosi con le vittime in varie parti del mondo, nelle risposte ai giornalisti nell’aereo. E oltre a richiamare sempre come primo passo, la penitenza e la conversione, per cancellare la “sporcizia” annidata nella Chiesa – come disse nel 2005 in una Via Crucis famosaha insistito sulla attenzione prioritaria alle vittime, al loro ascolto e cammino di guarigione, alla giustizia e alla rigorosa esclusione dal ministero sacerdotale dei pedofili. Ma è ritornato più volte anche sulle carenze nell’educazione cristiana dell’insegnamento morale della Chiesa, che non ha saputo affrontare la “rivoluzione sessuale” dei decenni del dopoguerra, la libertà messa a servizio della realizzazione egocentrica di sé, la enorme diffusione della pornografia… e proprio con lui sarà inserito tra i delitti canonici “più gravi” anche la pedopornografia.

In sintesi, il suo impegno contro gli abusi non si è fermato solo alla repressione dei delitti con il rinnovamento del diritto canonico, ma ha voluto sempre che la teologia e il magistero in materia morale fossero fonte dei comportamenti dei credenti e che la formazione alla vita spirituale fosse alla base di ogni di ogni vocazione ecclesiale, quale miglior strategia preventiva contro il male e soprattutto contro quel male terribile che si scaglia sui piccoli e sui fragili.

*Arcivescovo di Ravenna-Cervia e Presidente del Servizio nazionale tutela minori Cei

Altri articoli in Chiesa

Chiesa