La storia del giovane Mahmoud, di sua moglie Halima e della loro figlia chiamata ‘Libertà’: a raccontarla al Sir è padre Hanna Jallouf, francescano siriano della Custodia di Terra Santa, parroco di Knaye, uno dei tre villaggi cristiani della Valle dell’Oronte (gli altri due sono Yacoubieh e Gidaideh) distante solo 50 km. da Idlib, capoluogo dell’omonimo Governatorato, ultimo bastione nelle mani dei ribelli islamisti di Hayat Tahrir al-Sham (ex Al Nusra) che combattono contro il regime del presidente siriano Bashar al Assad.
Sabato 17 dicembre padre Hanna ha ricevuto in Vaticano, dalle mani di Papa Francesco, il “Fiore della gratitudine”, riconoscimento promosso dal Dicastero per il Servizio della Carità, per ricordare Madre Teresa di Calcutta in occasione del 25° anniversario della morte della Santa, celebrato lo scorso 5 settembre. Padre Hanna si spende, dall’inizio della guerra, scoppiata nel marzo del 2011, per i poveri in Siria, senza badare a religione e etnia. Ed è proprio in questo contesto che è maturata la storia di Mahmoud.
Padre Hanna la racconta per parlare del Natale, il primo dopo 30 anni, vissuto nel convento di Damasco, lontano dalla sua comunità sparsa nei tre villaggi cristiani dell’Oronte, “un piccolo gregge” di poco più di 1000 anime. A celebrare nella chiesa di san Giuseppe a Knaye questa volta sarà il suo confratello, padre Luai Bsharat. I due frati, infatti, sono gli unici religiosi rimasti nella zona, perché “quando è scoppiata la guerra tutti i preti e i sacerdoti che c’erano sono andati via o fuggiti. Molte chiese e luoghi di culto armeni e greco ortodossi sono stati distrutti o bruciati. Tra questi anche il convento di Ghassanie”.
La nascita di Libertà. “Era da poco scoppiata la guerra – ricorda padre Hanna – e già si contavano migliaia di sfollati interni e di rifugiati. Nel 2007 avevamo finito di costruire la nuova ala del nostro convento che decidemmo di utilizzare come rifugio per chi era stato costretto a fuggire e a lasciare tutto. Dividendolo in tre parti, una per i sunniti, una per gli sciiti e una per i cristiani, siamo riusciti a dare accoglienza a tantissimi profughi. La Provvidenza non ci ha fatto mai mancare nulla. In quel periodo venne da me un giovane sposo, musulmano sunnita, di nome Mahmoud. Mi disse che sua moglie doveva partorire ma che sarebbe stato pericoloso perché lì nel villaggio non c’erano né medici né ospedali. Mi chiese così di intervenire presso le autorità dell’Esercito regolare siriano per ottenere un lasciapassare per raggiungere la capitale, dove c’erano ospedali e cliniche. Una volta ricevuto il documento, non senza difficoltà, la giovane coppia riuscì a lasciare il villaggio. Qualche giorno dopo venne alla luce una bambina – la primogenita – che i genitori hanno voluto chiamare con il nome arabo di ‘Libertà’”. I ricordi di ieri si annodano a quelli di oggi, quando la famiglia è tornata e, dice padre Hanna, “il papà, Mahmoud, e mamma Halima mi hanno presentato Libertà che oggi ha circa 11 anni e va a scuola. ‘Siamo tornati a ringraziarti – mi hanno detto i due – per la nascita di Libertà. Siamo tornati anche per restare qui a Knaye, il villaggio che ci ha ospitato e ci ha permesso di ritrovare un po’ di speranza e di dignità”.
“Sale e luce”. Dalla nascita di Libertà scaturisce anche un’altra domanda: “Tanti musulmani – rivela il francescano – ci chiedono perché, come cristiani, non abbiamo mai lasciato i nostri villaggi. La mia risposta è nella Bibbia dove è scritto che dobbiamo essere sale della terra e luce del mondo attraverso la testimonianza della fede, dell’amore fraterno, della solidarietà e della condivisione con i più bisognosi, vedendo in loro il volto di Cristo. Papa Francesco ce lo ricorda sempre”. Alla vigilia di questo Natale il pensiero di padre Hanna corre alla sua comunità cristiana di Knaye e dei villaggi vicini di Gidadieh e Yacoubieh. “Per loro, come succede da anni, solo un piccolo presepe posto sotto l’altare della chiesa. Fuori nessuna festa, nessuna luce natalizia, niente campane o croci. La Luce – sottolinea il frate – la portiamo nel cuore e cerchiamo di donarla a chi incontriamo. La preghiera che ci accompagna e ci unisce è che la culla di Gesù si riempia di pace per tanti Paesi del mondo dove c’è guerra. Ucraina in testa. Preghiamo Gesù Bambino davanti al presepe perché la Luce sconfigga il buio della guerra”.