“L’olio che sarà versato nella lampada uniflamma che splende sulla Tomba di San Nicola vuole alimentare il fuoco della preghiera, ma anche essere un balsamo per le ferite della nostra umanità”. Mons. Giuseppe Satriano, arcivescovo di Bari-Bitonto, presenta la Veglia di preghiera promossa dalla Conferenza episcopale italiana e dall’arcidiocesi per la pace in Ucraina.
Da Kiev a Bari: perché una Veglia di preghiera per la pace?
San Nicola è un punto di riferimento del mondo cattolico e ortodosso. Non possiamo dimenticare il pellegrinaggio delle reliquie del santo a Mosca nel 2017. Alla vigilia del Natale e dopo le festività nicolaiane del calendario giuliano, ci vogliamo ritrovare per aprire il cuore delle Chiesa che è in Italia a un abbraccio di solidarietà e intercessione per i nostri fratelli che vivono nella sofferenza e nella fatica della guerra. Bari è un crocevia fondamentale per il Mediterraneo.
Dobbiamo assumerci l’onere di un impegno maggiore, non rimanere indifferenti e metterci in discussione per tentare ogni strada possibile.
San Giovanni Crisostomo diceva che “chi prega mette le mani sul timone della storia”. Crediamo nella potenza salvifica e di intercessione della preghiera, soprattutto all’ombra di un grande santo.
Bari è una città simbolo del dialogo ecumenico. Eppure oggi è così difficile parlare tra “fratelli”…
Le lacrime di Papa Francesco in Piazza di Spagna sono eloquenti. Raccontano la fatica che si sta facendo per riconnettere i cuori e per tessere una trama comune. L’ipertrofia dell’io ha generato una cultura dello scarto. Le relazioni, soprattutto dove la fragilità e la povertà sono evidenti, risultano sempre più difficili.
Il Papa insiste sul tema della prossimità e della fratellanza. Non è una velleità, ma un’esigenza della storia. Dobbiamo guardare la storia a partire dai poveri.
Cosa chiederà a San Nicola, un santo che sta molto a cuore al popolo ucraino e a quello russo?
Di mettere il mio cuore accanto a chi soffre, attraverso la preghiera. Spero che ci sia una tregua per il periodo del Natale, che possa dare sollievo alla popolazione e consentire le opere di pietà nei confronti dei morti. Auspico che possa avviarsi, nei tempi necessari, un percorso di confronto che dia avvio a una trattativa reale di pace.
Lei parla della preghiera come dell’atto più rivoluzionario che la storia possa conoscere.
L’uomo dal cuore duro non prega, racconta se stesso. L’uomo che prega si pone nella condizione di essere un ponte tra le diverse situazioni di sofferenza.
Dobbiamo dismettere l’orgoglio che ci abita per lasciare spazio all’altro. È la grande fatica di questo secolo. L’altro è diventato un alieno. Lo sguardo è soltanto su noi stessi.
Le fatiche ci toccano solo quando riguardano noi stessi, altrimenti non ci interessano. È la cultura del drop out, citata da don Tonino Bello: dobbiamo guardare a coloro che sono caduti dal carretto e rischiano di essere dimenticati sul ciglio della strada.
Da Irpin a Bucha abbiamo visto l’orrore delle fosse comuni. I corpi di civili seviziati, le camere di tortura a Kherson, i crimini commessi contro donne e bambini. Come è possibile respingere l’odio nei confronti del nemico e trovare una strada per la pace?
Dobbiamo praticare la preghiera di intercessione modellata su Cristo, non quella miracolistica. È la preghiera del sofferente, oltraggiato e violato, che invoca il perdono e la riconciliazione. È una preghiera dal basso, che porta alla conversione personale e all’apertura verso il nemico. Alla luce del Vangelo, la guerra non può essere mai legittimata. Gli insegnamenti di Cristo non sono inviti sentimentali. Dobbiamo prendere posizione con scelte non violente, che devono modellare la vita dei cristiani. E qui ci troviamo di fronte a una guerra tra cristiani.
Tutte le diocesi italiane si uniranno alla preghiera?
Durante la Novena del Natale la preghiera è molto fervida in tutte le comunità cristiane. L’approssimarsi del Natale dispone i cuori a un atteggiamento di maggiore attenzione agli altri. È bello che a presiedere questo momento ci sia il cardinale Zuppi e il vescovo Olivero, presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo. Sono segni chiari della volontà della Chiesa italiana di essere unita per invocare la pace.