Una festa davvero gioiosa quella dell’8 dicembre, giorno dell’Immacolata; tutti sentono in essa già annunciarsi il Natale, le vacanze sulla neve e il calore dei camini delle case dei nonni e delle tavole imbandite da mamme e papà felici di riabbracciare figli e nipoti. L’Immacolata apre il cuore e il calendario ai giorni più belli dell’inverno e, nel viaggio liturgico, batte i passi dell’Avvento per volgerli verso la meta: la nascita di Gesù. Immacolata è la fronte della Donna rivolta verso l’Emmanuele, il Dio che viene, che si fa carne, per farla Madre.
Una delle più amate feste dedicate alla Madonna il cui nome deriva dal latino: “in-maculata”, letteralmente “non macchiata”, non profanata, incontaminata.
La prima immagine è quella dell’infanzia di Maria tratta dal Protovangelo di Giacomo e così musicata da Fabrizio De Andrè: “Guarda la pelle tenera, lieve, risplende al sole come la neve. Guarda le mani, guardale il viso, sembra venuta dal paradiso”. “Immacolata”: fa pensare alla biancheria stesa al sole, al candore della neve, alla luna in certe sere d’estate, di cui Leopardi scrive: “vergine luna (…) intatta luna”. Un aggettivo che, detto di persona, unisce due modi d’intenderlo, quello materiale e quello morale ed è così che accade con Maria negli antichi canti popolari. “Immacolata, vergine bella, di nostra vita tu sei la stella” dice uno di essi; “Bella tu sei qual sole, bianca più della luna e le stelle – le più belle – non son belle al par di te” completa un altro. Immacolata, dunque, è Maria, bianca più della luna, bella più delle stelle, vergine, intatta, purissima. Concepita senza peccato originale dice il dogma proclamato l’8 dicembre 1854 nella Chiesa cattolica. Ed ecco nell’orecchio della memoria risuonare le rime del Cantico dei Cantici: “Tutta bella, tu sei, amica, mia, in te nessuna macchia” (4,7) che furono tra le suggestioni del Primo Testamento ad ispirarlo. Fatta pura dall’Amore dello Sposo, come la donna del Cantico. Immacolata come l’acqua della sapienza che sgorga dalla bocca del Creatore: “Quando non esistevano gli abissi, io fui generata; quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d’acqua” (Pr 8,4).
Prima che fosse il genere umano, Lei era là, sapienza di Dio che darà alla luce la sapienza della Parola. Madre senza macchia, figlia del suo figlio: mare e sorgente, incrocio tra il divino e l’umano, tessuto di carne per il Dio Altissimo; corpo di luce, membra trasparenti, impastate già di Resurrezione per dare alla luce la fine delle tenebre. Nuova Eva, Eva restituita, fin dal concepimento! Tutto questo è Maria, l’Immacolata. Pura ma non incorporea, al contrario, donna sino in fondo, liberata da ogni “macchia” di inferiorità rispetto al maschile e da ogni mancanza di dignità, rispetto a Dio.
Immacolata poiché – come predica il dogma – è “piena di grazia” che si rileva nell’“eccomi” per farsi casa di Dio nel mondo, luogo di fratellanza per le creature tutte. Ed ecco un’altra immagine biblica a rispecchiare un simile candore: è nella lettera agli Efesini quando viene descritto Cristo, lo Sposo, il quale: “ha amato la Chiesa e ha dato sé stesso per lei” con un unico intento, per un unico scopo, per: “renderla santa (…) e per presentare a sé stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata” (5,25-27). Anche la Chiesa è, dunque, “immacolata” e non per dono di nascita ma per dono d’amore! L’amore è l’alcale che rende pura ogni cosa e ogni persona, sia i giusti sia i peccatori. Aggettivo stupendo di cui il Nuovo Testamento, corona la Chiesa, quella casta-meretrix che Agostino illustra. Casta, dunque, “immacolata” ancorché meretrice, tutta contaminata, eppure senza macchia, linda, poiché lavata dall’Amore di un Dio che si fa prossimo, fratello, amico, sposo; un Dio che scende come Salvatore, per liberarla da ogni impurità e da ogni male. Immacolato, “bello e senza ruga” è il corpo della Sposa, nel battesimo del Signore risorto.