Nella scorsa udienza il Papa ha trattato di quello che ha definito un terzo “ingrediente” necessario per l’arte del discernimento: “Oggi vorrei parlare di un altro ‘ingrediente’ per così dire indispensabile: oggi vorrei parlare del desiderio. Infatti, il discernimento è una forma di ricerca, e la ricerca nasce sempre da qualcosa che ci manca ma che in qualche modo conosciamo”.
Il tema del desiderio associato al discernimento mi ha subito riportato alla mente l’incipit dell’Autobiografia del grande maestro del discernimento, sant’Ignazio di Loyola: “Fino a 26 anni fu uomo di mondo, assorbito dalle vanità. Amava soprattutto esercitarsi nell’uso delle armi, attratto da un immenso desiderio di acquistare l’onore vano” (Autobiografia, n. 1).
Iñigo era magnetizzato dal suo “immenso desiderio”, che gli aveva dato determinazione fino alla temerarietà, al punto da fargli sfidare la morte nell’assedio di Pamplona, pur di potersi fare un nome; allo stesso modo, il suo “immenso desiderio” di apparire lo portò a chiedere che gli fosse segato un osso sporgente sotto il ginocchio, dopo che già aveva patito due convalescenze quasi letali, pur di poter tornare a indossare gli stivali da cavaliere: i nostri desideri immensi possono portarci a farci davvero tanto, tanto male, persino ad autodistruggerci… ma il problema non sono i desideri, bensì l’oggetto a cui sono orientati.
Sarà infatti la stessa intensità inquieta che farà di Iñigo un santo, così come, circa trecento anni prima, era stato il desiderio di gloria a portare il giovane e scanzonato Francesco di Assisi a diventare l’uomo del millennio diventando un povero mendicante: in entrambi i casi, l’incontro con Dio li aiutò a trovare la vera mèta a cui indirizzare i loro aneliti, educandoli, pian piano e con quell’elegante pazienza che è propria della Grazia, a lasciare i contenuti della loro insicurezza rivestita di ambizione, per sposare il vero bene, quello che nessuno avrebbe mai potuto togliergli.
Dobbiamo però ammettere che, prima ancora della necessità di orientare alle cose giuste i nostri desideri, la vera sfida odierna è ricordarsi di averceli. Da tanti anni lavoro con i giovani, e il primo grande problema con i ragazzi non è aiutarli a capire come realizzare i propri desideri, ma affiancarli perché si riconnettano con essi, mentre l’apatia degli schermi e delle evasioni sembra essersi mangiata tutto lo slancio possibile in loro, lasciando solo l’attimo presente dell’intrattenimento e del consumo. Eppure è così semplice: ogni anno porto i ragazzi che fanno nella mia parrocchia il percorso di Signa Veritatis in ritiro sul Monte Argentario, per quattro giorni di esercizi spirituali. Lì, nel silenzio totale favorito dal divieto dell’uso dei cellulari, (ri)trovano se stessi. È vero, quattro giorni sono pochi, ma tale è il contrasto con la vita abituale che l’esperienza li segna nella memoria grata per sempre, e di anno in anno attendono quei quattro giorni con un’aspettativa gioiosa che scalda il cuore.
Il segreto è la mancanza, come anche il nome stesso “desiderio” suggerisce: “Il desiderio non è la voglia del momento, no. La parola italiana viene da un termine latino molto bello, questo è curioso: de-sidus, letteralmente ‘la mancanza della stella’, desiderio è una mancanza della stella, mancanza del punto di riferimento che orienta il cammino della vita; essa evoca una sofferenza, una carenza, e nello stesso tempo una tensione per raggiungere il bene che ci manca”.
Togliersi cose, fare silenzio, staccare i cellulari, allontanarsi dal comfort… tutto questo fa da combustibile al desiderio, che nella sua forma germinale si chiama inquietudine, finalmente ridestata dal coma della sazietà.
D’altronde, sant’Ignazio (che prima abbiamo conosciuto come Iñigo) lo scrisse chiaramente nel manuale degli Esercizi: “Considero il discorso che Cristo nostro Signore rivolge a tutti i suoi servi e amici, che invia a questa missione, raccomandando loro che cerchino di aiutare tutti gli uomini: li condurranno anzitutto a una somma povertà spirituale e, se la divina Maestà così vorrà e intenderà sceglierli, anche alla povertà materiale” (Esercizi Spirituali, n. 146). La prima cosa da imparare nella vita spirituale è che la nostra vita non dipende dalle cose. Da lì in poi possiamo decollare, liberando i nostri desideri dalle anguste proporzioni di mere voglie indotte, e ridando loro un’ampiezza simile a quella del cielo stellato.