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Papa Francesco: “Andiamo avanti con la preghiera del ciao”

Papa Francesco ha ripreso il ciclo di udienze sul discernimento, soffermandosi su uno dei suoi elementi costitutivi: la preghiera, che è familiarità con il Signore. Un "ciao" fatto di vicinanza e di gesti, più che di parole "a pappagallo". Al termine "un pensiero alla martoriata Ucraina, che sta soffrendo tanto".

Foto Calvarese/SIR

“Andiamo avanti con la preghiera del ciao”. Papa Francesco ha concluso con questo invito a braccio l’udienza di oggi, in cui ha ripreso il ciclo di catechesi sul discernimento soffermandosi su uno dei suoi elementi costitutivi: la preghiera, che “non è recitare preghiere come un pappagallo”. La preghiera è “rivolgerci a Dio con semplicità e familiarità, come si parla a un amico. È saper andare oltre i pensieri, entrare in intimità con il Signore, con una spontaneità affettuosa”. “La vera preghiera è familiarità, è affetto con il Signore”: è questo il segreto della vita dei santi. “Questa familiarità vince la paura o il dubbio che la sua volontà non sia per il nostro bene, una tentazione che a volte attraversa i nostri pensieri e rende il cuore inquieto e incerto o amaro”. Al termine dell’udienza, ancora “un pensiero alla martoriata Ucraina, che sta soffrendo tanto”.

Il discernimento, ha esordito il Papa, “non pretende una certezza assoluta: non è un metodo chimicamente puro, perché riguarda la vita, e la vita non è sempre logica, presenta molti aspetti che non si lasciano racchiudere in una sola categoria di pensiero”.

“Non siamo solo ragione, non siamo macchine,

non basta ricevere delle istruzioni per eseguirle”, ha esclamato Francesco: “gli ostacoli, come gli aiuti, a decidersi per il Signore sono soprattutto affettivi, dal cuore”.

“Molti, anche cristiani, pensano che Gesù possa anche essere il Figlio di Dio, ma dubitano che voglia la nostra felicità; anzi, alcuni temono che prendere sul serio la sua proposta significhi rovinarsi la vita, mortificare i nostri desideri, le nostre aspirazioni più forti”.

Con queste parole il Papa ha stigmatizzato la “falsa immagine di Dio che Satana suggerisce fin dalle origini: quella di un Dio che non vuole la nostra felicità”. “Questi pensieri fanno talvolta capolino dentro di noi”, ha spiegato: “che Dio ci chieda troppo, abbiamo paura che non ci voglia davvero bene”. Invece, “nel nostro primo incontro abbiamo visto che il segno dell’incontro con il Signore è la gioia. Nel primo incontro col Signore ognuno di noi diventa gioioso: è una cosa bella.  La tristezza, o la paura, sono invece segni di lontananza da lui”.

“Chi si allontana dal Signore non è mai contento, pur avendo a propria disposizione una grande abbondanza di beni e possibilità”,

la tesi di Francesco: “Gesù mai costringe a seguirlo: Gesù ti fa sapere la sua volontà, con tanto cuore ti fa sapere le cose, ma ti lascia libero: e questo è la cosa più bella della preghiera. Invece, quando noi ci allontaniamo da Gesù ce ne andiamo con la tristezza del cuore”.  “Discernere non è facile – ha ammesso il Papa –  perché le apparenze ingannano, ma la familiarità con Dio può sciogliere in modo soave dubbi e timori, rendendo la nostra vita sempre più ricettiva alla sua ‘luce gentile’, secondo la bella espressione del Santo John Henry Newman”. “I santi brillano di luce riflessa e mostrano nei semplici gesti della loro giornata la presenza amorevole di Dio, che rende possibile l’impossibile”, il primo esempio scelto da Francesco:

“Si dice che due sposi che hanno vissuto insieme tanto tempo volendosi bene finiscono per assomigliarsi. Qualcosa di simile si può dire della preghiera affettiva:

in modo graduale ma efficace ci rende sempre più capaci di riconoscere ciò che conta per connaturalità, come qualcosa che sgorga dal profondo del nostro essere”.

Alla fine della catechesi, ancora una volta a braccio, il Papa è tornato sulle affermazioni iniziali: “Stare in preghiera non significa dire parole, parole, parole: no, aprire il cuore a Gesù, avvicinarsi a Gesù, lasciare che entri nel mio cuore e mi ci faccia sentire la sua presenza. E lì possiamo discernere quando è Gesù o quando siamo noi con i nostri pensieri, tante volte lontani da Gesù”.

“Chiediamo questa grazia: di vivere una relazione di amicizia con il Signore, come un amico parla all’amico”,

l’invito ai presenti in piazza San Pietro, sulla scorta di Sant’Ignazio. Infine un racconto a braccio: “Ho conosciuto un vecchio fratello, un religioso, che è un portiere di un collegio. Lui, ogni volta che poteva si avvicinava alla cappella, guardava l’altare e diceva: ‘Ciao!’. Perché aveva vicinanza con Gesù. Ciao! Ti sono vicino e tu mi sei vicino: questa vicinanza, vicina affettiva con i fratelli, vicinanza con Gesù, un sorriso, un semplice gesto, e non recitare parole che non arrivano al cuore”. “È una grazia che dobbiamo chiedere gli uni per gli altri”, ha raccomandato Francesco: “vedere Gesù come il nostro amico più grande e fedele, che non ricatta, soprattutto che non ci abbandona mai, anche quando noi ci allontaniamo da lui”.

“Quando noi ci allontaniamo da lui – ha concluso a braccio il Papa – lui rimane alla porta del cuore. Rimane lì, a portata di mano, a portata di cuore, perché lui è sempre fedele. Andiamo avanti con la ‘preghiera del ciao’,

di salutare il Signore con il cuore, la preghiera dell’affetto, della vicinanza, con poche parole ma con gesti e con opere buone”.

 

 

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