“È stata un’esperienza di Chiesa”. Giorgio Marengo, neo cardinale, prefetto apostolico di Ulan Bator in Mongolia commenta così il recente viaggio del Papa cui ha partecipato come rappresentante della chiesa in Mongolia, membro della Conferenza episcopale dell’Asia centrale. Con lui, quindici fedeli della sua diocesi, giunti a Nur-Sultan, in Kazakistan, dopo quattro giorni di viaggio. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente.
Eminenza, che risonanza ha avuto il viaggio del Papa nella sua terra e nella Chiesa della Mongolia?
Come chiesa in Mongolia abbiamo vissuto questo viaggio con una partecipazione attiva. All’evento erano presenti 15 fedeli della nostra chiesa. Una piccola ma significativa delegazione composta da tre missionari, una suora e undici laici. Pensi che hanno deciso di venire in macchina. Quattro giorni di viaggio durante i quali hanno percorso oltre 3.400 chilometri. La scelta dell’automobile non era solo legata a risparmiare sulle spese. Il viaggio intrapreso voleva essere una sorta di pellegrinaggio: attraversare quella steppa dell’Asia centrale per raggiungere fisicamente il luogo dell’incontro con il santo Padre. Insieme hanno quindi percorso un lungo tratto di strada durante il quale hanno pregato, scherzato, condiviso cibo e pensieri. Già questo è stato, di per sé, un segno forte e allo stesso tempo un frutto del voler camminare, insieme, come chiesa. Per loro è stata un’esperienza straordinaria. Ieri li ho incontrati per condividere quanto vissuto. Un modo per fare un bilancio di questa avventura. Per loro vedere il papa da vicino, partecipare alla santa messa da lui presieduta è stata un’esperienza intensa, unica. Non solo. Il viaggio ha permesso loro di incontrare altri fedeli dell’Asia centrale, di conoscere realtà per loro molto lontane. Insomma un bilancio positivo. Inoltre, noi della Mongolia, siamo all’interno dell’alveo della Conferenza episcopale dell’Asia centrale. Ritengo quindi che la loro presenza sia stata anche un segno bello di partecipazione in quanto membri di questa piccola splendida realtà ecclesiale.
Cosa l’ha maggiormente colpita delle parole del Papa?
Come sempre il Papa ci ha offerto anzitutto la testimonianza della sua persona, bella e viva. Ci ha donato poi dei discorsi pieni di contenuti magisteriali, sia quelli rivolti al Congresso dei leaders delle religioni, dove ha ribadito il ripudio della violenza e della mondanità all’interno del sacro, sia quelli pubblici e mi riferisco all’omelia pronunciata durante la messa e al discorso rivolto ai religiosi e al clero locale. Il Papa ci offre sempre indicazioni pratiche su come e dove orientare le nostre strategie pastorali, e sono tutte dirette a favorire sia l’incontro tra la gente e Gesù, vivo e risorto, sia sull’apertura ai fratelli e alle loro necessità. Il papa ha parlato di dialogo, di fraternità, radicati nella memoria e nella profezia.
In particolare cosa porta con sé dell’incontro col Santo Padre?
Due cose in particolare, entrambe presenti nel discorso rivolto ai religiosi e al clero locale. La prima, molto bella, riguarda il suo riferimento alla piccolezza. Una piccolezza intesa come grazia della povertà. Ci ha fatto riflettere su cosa significa “non avere nulla” su cui contare. Il papa ci ha invitato a riprendere il cammino, ma a camminare leggeri, liberi da pesi e lacci, contando solo sull’amore di Cristo che per primo ci spinge a consegnarci a Lui e agli altri per contribuire a costruire un mondo più giusto. Parole importanti per le nostre chiese locali, che ci aiutano a scoprire la grazia dell’essere minoranza, un piccolo gruppo. Non un’élite, ma piccoli semi di Vangelo sparsi in questo immenso territorio capace di offrire la luce di Cristo con tanta semplicità e umiltà. La seconda riguarda il coinvolgimento dei laici. Due esortazioni forti che possono diventare orientamenti pratici delle nostre chiese in termini programmatici e di scelte concrete.