Il Papa torna a mettere in campo la sostanza ignaziana della sua formazione e del suo ministero con una serie di catechesi del mercoledì, iniziate settimana scorsa, concernenti il nucleo fondamentale della proposta spirituale di sant’Ignazio: il discernimento della volontà di Dio sulla propria vita.
In modo molto compendioso già nella prima catechesi il Santo Padre elenca le caratteristiche che sono anche in un certo senso i prerequisiti per discernere:
intelligenza, esperienza, impegno della volontà, contatto con la propria affettività.
Queste caratteristiche sono necessarie per intraprendere quell’opera paradossale che è il discernere, paradossale perché al contempo fondamentale per tutti ma non percorribile da tutti, come lo stesso Ignazio avvisa nel dettare le regole per le guide degli Esercizi spirituali, perché non tutti se la sentiranno di impegnarsi per andare in profondità e fare verità, senza se e senza ma.
Il paradosso del discernimento, che serve a tutti ma non da tutti attuabile, si radica nella libertà individuale, in quella libertà che il Papa molto giustamente menziona nella prima catechesi: “Dio ci invita a valutare e a scegliere: ci ha creato liberi e vuole che esercitiamo la nostra libertà. Per questo discernere è impegnativo. […] L’uomo, a differenza degli animali, può sbagliarsi, può non voler scegliere in maniera corretta…”. Siccome l’uomo può scegliere male, l’uomo può non fare discernimento, facendosi piuttosto guidare dagli automatismi alienanti della sua mentalità, dalle piccole e grandi psicopatologie della vita quotidiana che, sotto le mentite spoglie del “mi pare”, lo trascinano verso il pulsionale e l’impersonale.
Eppure proprio questa tragica possibilità, che purtroppo è la realtà quotidiana di tanta gente, segnala (di nuovo) paradossalmente la dignità incomparabile dell’uomo, come il Papa accenna di sfuggita menzionando gli animali. Essi, quali espressioni concrete del grande meccanismo della natura necessitante, sono a loro modo infallibili: non capiterà mai che un usignolo sbagli cinguettio o una tigre non si ritrovi nella caccia, perché la natura assegna a ciascun essere fatalisticamente la sua parte da attuare. Eppure la loro infallibilità non è che un sinonimo di impersonalità, mentre per l’uomo è proprio la possibilità dell’errore che crea lo spazio della libertà e dunque della possibile attuazione del germe divino che è in lui, della sua figliolanza come comprensione della propria lacunosità e di cosa può riempirla autenticamente.
Da tanti anni accompagno nel discernimento i giovani, e so quanto è vera la fatica nel discernere di cui parla il Papa.
È faticoso anzitutto educare le persone all’accettazione della propria fragilità, ad ammettere la dolorosità della propria manchevolezza. I sazi gaudenti non sanno che farsene del discernimento: solo chi accetta di ammettere la propria inquietudine può iniziare un cammino spirituale, e difficilmente noi ammettiamo, anzitutto a noi stessi, quello che ci manca davvero, e che grida dalla profondità dei nostri spazi vuoti.
È faticoso poi educare il gusto, perché, ammessi gli spazi vuoti, non si continui a riempirli della spazzatura di sempre, ma si accetti di stare un po’ a digiuno, per prepararsi a gustare cose migliori.
È faticoso percorrere con chi si affida alla direzione spirituale tutti i tortuosi itinerari che da questo punto in poi si dipanano, tra beni apparenti e reali, idealità e realismo, ottimismi tronfi e pessimismi accusatori… una vera e propria avventura condivisa!
È faticoso, ma penso non ci sia niente di meglio per cui spendere la vita, perché accompagnare nel discernimento equivale a divenire, prima o poi, spettatori dello spettacolo più bello dell’intero universo: lo sbocciare della vita nuova in un’anima, più luminoso della nascita di una radiosa stella.