Molti, anche in Italia, lo ricordano energico e attento coordinatore della Giornata mondiale della gioventù di Rio de Janeiro, nel 2013. Da quel momento, quando era vescovo ausiliare di Rio de Janeiro, dom Paulo Cezar Costa, è diventato prima, nel 2016, vescovo di São Carlos, e poi, nel 2020, arcivescovo di Brasilia, la capitale del grande Paese latinoamericano. Con i suoi 55 anni, dopo il Concistoro del 27 agosto, sarà uno dei cardinali più giovani del Sacro Collegio, ed è il secondo brasiliano tra i nuovi cardinali. Se, con dom Leonardo Steiner, Papa Francesco ha guardato al nord del Paese e in particolare all’Amazzonia, con dom Paulo Cezar Costa l’attenzione è stata data alle grandi metropoli centrali del Paese, e in particolare alla capitale. L’arcivescovo è “in prima linea” nel dialogo con le Istituzioni federali (e il dialogo è una delle priorità del suo ministero, una parola chiave che torna spesso anche in questa intervista) e nel dare spessore a una pastorale urbana, dentro a una società complessa, in grado di far camminare la Chiesa al passo con i tempi, soprattutto con le nuove generazioni. Accanto alla nota “opzione preferenziale per i poveri”, in questa intervista al Sir, concessa in vista del Concistoro, ricorda che la Gmg di nove anni fa ha espresso anche una “opzione preferenziale per i giovani”, che affonda anch’essa le sue radici nella Conferenza di Medellín.
Con che spirito ha ricevuto la nomina a cardinale?
L’ho ricevuta con spirito di servizio. Il cardinale dev’esser un servitore del popolo di Dio, un uomo che deve dedicare la sua via servendo Gesù Cristo, la Chiesa, secondo quello che chiede il Papa. Io desidero essere un servitore del popolo di Dio e con questo spirito ho accolto la nomina.
Due nuovi cardinali brasiliani: che significato ha questa scelta del Papa per la Chiesa del Brasile e cosa la Chiesa del Brasile può dare al cammino di tutta la Chiesa?
Anzitutto si tratta di un profondo riconoscimento del Santo Padre verso la Chiesa del Brasile, che ora ha cinque cardinali con diritto di voto qui nel Paese e uno nella Curia romana. D’altro canto, la Chiesa del Brasile possiede un profondo contributo che può dare alla Chiesa di tutto il mondo. È una Chiesa che ha percorso un bel cammino di comunione, di sinodalità, di partecipazione del laicato. È una Chiesa già in cammino sinodale, che può vantare un percorso di integrazione tra ministero ordinato e laicato. Noi oggi abbiamo un laicato gratuito, che testimonia una vita bella, dentro i nostri cammini pastorali, dentro i nostri movimenti. Siamo riusciti a creare questa buona integrazione tra sacerdoti, laici, popolo di Dio. Credo che questo cammino sia un profondo contributo che la Chiesa brasiliana può condividere. Il laicato è presente in modo gioioso nella vita del popolo di Dio delle nostre diocesi, delle nostre parrocchie. La vita della Chiesa del Brasile è impensabile senza i laici.
Si pensa che in Brasile, presto, il numero di fedeli neo-evangelici supererà quello dei cattolici. Che sfida rappresenta per la Chiesa questa situazione?
La sfida è quella di essere una Chiesa missionaria, evangelizzatrice, in uscita, come si chiede Papa Francesco. Ma la nostra preoccupazione principale non dev’essere la crescita degli evangelici, piuttosto dobbiamo preoccuparsi soprattutto se stiamo esercitando bene la nostra missione di evangelizzazione, di Chiesa in uscita, di Chiesa che risponde alle necessità del tempo attuale. Queste devono essere le grandi preoccupazioni della Chiesa. Se non saremo una Chiesa che evangelizza, missionaria e in uscita, la missione della Chiesa non avverrà.
Lei è stato il responsabile per la Giornata mondiale della gioventù di Rio de Janeiro, nel 2013. Dopo nove anni che frutti si vedono di quell’esperienza? Cosa è rimasto?
Fu il primo viaggio internazionale di Papa Francesco. Qui in Brasile quell’evento ha suscitato l’opzione preferenziale della Chiesa brasiliana per la gioventù, con la radicalità che prima non c’era, ma che pure ci veniva richiesta. La Conferenza generale di Medellín, nel 1968, mise in evidenza l’importanza di questa opzione preferenziale per la gioventù, con forza e radicalità. La Gmg ha fissato un punto fermo in questo cammino per i giovani. Questa attenzione resta una grande sfida, per tutti noi in Brasile, ma direi in tutto il mondo. È essenziale che la gioventù si senta a casa sua nella Chiesa, nelle nostre parrocchie, nelle nostre comunità.
Brasilia è la capitale del Brasile, ma anche una città molto particolare. Quali sono le principali urgenze che l’arcidiocesi sta affrontando?
Brasilia è una città nuova, ha poco più di sessant’anni. È stata costituita con abitanti che arrivavano da tutte le parti del Brasile. Io dico sempre che Brasilia è la sintesi del Paese, di conseguenza ha una grande ricchezza culturale e religiosa. Brasilia vive, per così dire, una “grande cattolicità”. Proprio in virtù di questa ricchezza. Abbiamo le persone che sono arrivate dal Nordest, con le loro tradizioni, dal Minas Gerais, la popolazione “carioca” e “fluminense” (due zone che identificano Rio de Janeiro), dal Nord. Per questo, la Chiesa è molto viva, e la sfida è quella che essa sia presente nei diversi ambiti di vita, qui a Brasilia. Attualmente le parrocchie sono 156, ma ne stiamo aprendo di nuove, cerchiamo di creare comunità vive, per accompagnare la crescita della città, per essere vicini ai poveri, ai più bisognosi. E poi c’è la sfida del dialogo con i poteri federali. La Chiesa è chiamata a sviluppare la cultura dell’incontro, a essere presente, a cercare il dialogo, ed è chiamata ad aiutare in questo la città e i diversi poteri della Repubblica. È una sfida, che può riflettersi sulle grandi questioni della vita del Paese. Io dico sempre: se Brasilia pensa in grande, anche il Brasile può pensare in grande, sognare e sperare. Pensare in grande è un’altra missione per la Chiesa, suscitare progetti, speranza, per questa nazione, per questo popolo, e soprattutto per i poveri e bisognosi.
Come già ci stava dicendo, Brasilia è anche la sede delle istituzioni federali. Come convivono il dialogo con le istituzioni e il compito profetico della Chiesa, in un Paese con profonde ingiustizie e squilibri?
La sfida di costruire dialogo è centrale. È quella di incontrare tutti, di affrontare i nodi del Paese e della Chiesa. Oggi il Brasile vive una certa polarizzazione, che di per sé non è un male, ma si trasforma in un male quando entrano le ideologie. I problemi sono reali, come lo squilibrio sociale, la povertà, l’insicurezza alimentare. Si tratta di questioni reali, da mettere in agenda, e le soluzioni vanno cercate attraverso il dialogo, anche se non sempre è facile.