Nella società dello scarto, sembra non esserci più posto per i vecchi, eppure hanno una grande ricchezza spirituale e di esperienza da offrici. Ma è necessario l’impegno di tutti. Ne parliamo con don Maurizio Patriciello, parroco a Caivano.
Dal versetto 15 del Salmo 92 nella vecchiaia daranno ancora frutto”, il Papa ha tratto il titolo al suo messaggio per la Giornata mondiale dei nonni e degli anziani 2022. Un pensiero che va controcorrente nella società dello scarto di oggi. Ma come cambiare mentalità?
La nostra è una società che va di corsa, sicuramente non a misura di anziani, così come non lo è a misura di bambini, poveri, fragili. Ognuno è chiuso nel proprio mondo, nei propri interessi, e gli anziani sono messi da parte. Eppure, dovremmo capire che noi da loro abbiamo tutto da guadagnare, dalla loro esperienza in campo lavorativo, in campo sapienziale. Quando un vecchio ci dà un consiglio ci potrebbe sembrare pesante, ma è come se lui già sapesse certe strade come vanno a finire. Allora, bisogna ricreare alleanze, condividere insieme momenti. Sono stato per “A Sua immagine” a girare delle puntate a Nuoro, al santuario della Madonna del Rimedio, che è attorniato da 80 casette, che sono abitate per la novena della festa, a settembre. In quei giorni si fa vita comune, c’è vita spirituale e sociale, il vecchio e il bambino ballano insieme, si divertono, cantano, pregano. Non ci sono i ghetti. Insieme il bambino in carrozzina, quello più grandicello, il giovane, l’adulto, la persona di mezza età, l’anziano: la varietà della vita è una ricchezza. In Italia si può valorizzare tutto questo perché la famiglia, benché sotto pressione, ancora regge. Ma bisogna superare la mentalità di “segregare il nonno” e vivere con i nostri anziani, ci porteranno via un po’ della nostra libertà, ma ci daranno tanto in cambio. Vedere gli anziani che vivono con le loro famiglie è bello. Certo, è necessario anche un impegno a livello politico affinché sia possibile la cura in casa degli anziani. Recuperare tutto questo ci aiuta tantissimo per avere una società dal volto umano.
Il Papa dice anche che la vecchiaia viene considerata quasi una malattia. Ma cosa ci fa paura? L’idea di morte, che associamo agli anziani e la società cerca di rimuovere? O il “peso” che può costituire la loro cura?
Questi due aspetti si intrecciano. Noi abbiamo da vivere un milione di ore, se la candela della nostra vita si spegne lentamente senza che intervengano malattie o incidenti. Quando si consumano queste ore e si avvicina la fine, già questo ci fa paura. Eppure, tante volte ho visto morire una persona anziana in casa sua, con tanta serenità, perché attorniata dai suoi familiari, anche bambini. Infatti, esorcizzare la morte non è un bene come pure nasconderla ai bambini, che devono capire che essa fa parte della vita. Inoltre, la persona anziana è più limitata nei movimenti, si stanca di più, ma questo non è una malattia, piuttosto una condizione. Eppure, anche questo ci fa paura, perché sappiamo che prima o poi, se viviamo a lungo, anche noi ci troveremo in quella condizione. E poi c’è la questione di come l’anziano possa in qualche modo limitare la nostra vita, le nostre vacanze, il nostro tempo libero, anche il nostro lavoro. Ma io credo che quando c’è la buona volontà, da parte di tutti, le soluzioni si trovano sempre, senza negare agli anziani la nostra compagnia. Torniamo al comando di Gesù: amare. Guardando le nostre mamme, non dico che le dobbiamo amare come loro hanno amato noi, perché non ci riusciremo mai, ma le dobbiamo amare. In fondo, queste donne ci hanno donato la vita. E lo stesso vale per i papà. Godiamoci i nostri vecchi e la loro serenità di passare gli ultimi anni della loro vita con le persone care, nelle loro case, tra le loro cose, con le loro abitudini, fisime, piccoli programmi. E impariamo da loro a vivere giorno per giorno.
Tante volte gli stessi anziani, finito il lavoro, vanno avanti con poca speranza e senza più attendere nulla dal futuro. Come dare loro un orizzonte verso il quale tendere? La Chiesa li può aiutare?
Quando una persona va in pensione e non ha prospettive, può andare facilmente in depressione.
La parrocchia può fare tanto, possiamo inventarci tante attività in cui coinvolgere gli anziani.
Inoltre, la preghiera li aiuta tantissimo. Ringraziamo il Signore che nelle nostre chiese ci sono tanti vecchi. A loro possiamo assegnare piccole responsabilità e impegni. Ad esempio, nella mia parrocchia abbiamo un giardino, se a loro fa piacere, se ne possono prendere cura. O pensiamo al catechismo, ai ministeri del lettorato, dell’accolitato, al servizio all’altare. E anche quando organizziamo un pellegrinaggio, dobbiamo pensare a qualcosa che sia a loro misura, per esempio in santuari che non distino tanto dalla parrocchia. L’Italia ne ha tanti. Ma possiamo fare molto di più di quello realizzato finora per i vecchi. Insomma, in parrocchia dobbiamo rendere protagonisti i nostri anziani.
La solitudine è una grande piaga per la vecchiaia. I figli impegnati in mille cose, i coetanei che non ci sono più…
Dobbiamo uscire dalla “poesia” dell’anziano. Può essere un po’ “pesante”. Non è sempre facile amarlo. Allora, dobbiamo educarci alla famiglia dove l’anziano ha il suo posto di diritto, non è una concessione. Per questa rinnovata centralità dell’anziano ci dobbiamo essere tutti: la famiglia deve essere supportata, in particolare le donne, che sono maggiormente impegnate nel lavoro di cura. Servono sinergie, rete, è un discorso di welfare, ma anche una questione culturale, sulla quale lavorare già dai bambini.
La vecchiaia non è “una condanna” ma una benedizione, dice Papa Francesco. Come gli anziani possono trasformare a loro volta questa benedizione in un dono per gli altri?
Che la vecchiaia sia una benedizione non c’è dubbio. Diceva il mio vecchio vescovo che c’è un solo modo per non morire vecchi: morire giovani. Può sembrare una battuta, ma racchiude una considerazione molto acuta. In tante case ci sono anziani che aiutano tanto i figli, economicamente, facendo da baby sitter ai nipoti o i badanti ad altri vecchi della famiglia non più autosufficienti. E quando un anziano parla, anche se ci ripete per l’ennesima volta una storia, stiamo ad ascoltarlo, avremo sempre qualcosa da imparare.
In casa, in chiesa, nella società costruiamo un mondo a misura di anziani e di bambini.
Se noi adulti faremo questo, avremo tanto da guadagnarci.