Papa Francesco, da quattro mesi e mezzo dedica un pensiero all’Ucraina ogni domenica alla fine dell’Angelus. La vicinanza alle popolazioni, gli appelli alla pace, l’invito a deporre le armi o a cercare un dialogo tra potenti del mondo, l’importanza di far giungere agli affamati della terra il grano bloccato nei porti sono i temi del suo lungo e incessante invito alla ragione e all’umanità, che al momento resta inascoltato.
In quello di domenica tre luglio ha sottolineato la necessità di una pace che non sia basata sull’equilibrio degli armamenti, verso i quali la corsa del mondo non ha fine, men che meno ora. La pace a cui il papa fa riferimento è molto più di un cessate il fuoco: è un progetto ambizioso che nasce e richiede un completo cambio di prospettiva. E’ una pace, per dirla semplice, che non si fonda sulla mia paura delle tue armi né sulla tua paura dell’uso che io posso fare delle mie contro di te. Il papa chiede alle intelligenze del mondo molto di più: un grande progetto di pace globale.
Molti ad ascoltarlo si saranno consolati: il suo richiamo alla ragione è quanto mai necessario e indispensabile ai nostri orecchi, ai nostri cuori, ai nostri occhi consapevoli e certi delle stragi, testimoniate da mesi di cronache ed immagini di case devastate come di centri commerciali aperti e palazzi ancora abitati centrati dai missili, con la conseguenza del quotidiano bollettino dei civili uccisi.
A molti altri, invece, questo ennesimo invito sarà sembrato poco più di un ritornello in bilico tra dovere e utopia. Eppure, sono tante le voci nel mondo che in questa come in altre occasioni si sono apertamente schierate contro la guerra e contro le armi. Una, targata Italia e scomparsa ormai quasi un anno fa, era quella di Gino Strada che da chirurgo di guerra non ha fatto altro che averne sotto gli occhi e tra le mani le tragiche e mai abbastanza raccontate conseguenze. Nel libro uscito postumo, ”Una persona alla volta”, ha raccontato tutto il suo stupore quando, neolaureato col desiderio di farsi le ossa, arrivando a Quetta in Pakistan, era rimasto sconvolto dal trovarvi un reparto di pediatria: “Che cosa centrano i bambini con la guerra?” si era chiesto. Ma erano bastate poche ore per averne chiara la ragione e decidere che quella sarebbe diventata la missione della sua vita: rimediare agli effetti di ordigni, missili e mine, rattoppando corpi e cucendo arti. Ricordando la guerra in Afghanistan attraverso gli ospedali di Emergency (1991) ha scritto: “Dei 12mila feriti registrati (…) il 34 per cento erano bambini, il 26 per cento erano anziani, il 16 per cento donne: oltre tre quarti di loro non avevano preso parte alle ostilità. I combattenti rappresentavano appena il 7 per cento del totale”. Da qui la nota frase: “Non sono un pacifista, sono semplicemente contro la guerra”.
Da allora non è cambiato nulla: la guerra apre fronti lungo i quali ogni casa o scuola o teatro e perfino ospedale diventa bersaglio. L’Ucraina insegna: dai civili affamati a Mariupol a quelli uccisi nel crollo del palazzo colpito nei giorni scorsi a Odessa, una vendetta dopo la resa russa all’isola dei serpenti.
Niente di diverso da quello che sta accadendo nella straziata quanto scordata Siria: secondo un report appena reso noto dall’Onu nel decennio 2011-2021 il paese ha pianto una media di 83 civili al giorno, per un totale di 300mila persone uccise dalla guerra.
Save The Children ha quantificato le vittime di un’altra guerra dimenticata, quella dello Yemen: tra marzo 2015 e marzo 2021 i vili uccisi sarebbero 20mila, quelli che hanno abbandonato il paese per salvarsi oltre 4 milioni, più della metà bambini (2,4 milioni).
Sono tante le ragioni per sperare e desiderare la pace. Papa Francesco invita tutti alla preghiera come sprona i potenti del mondo a impegnarsi perché tale follia abbia fine. Ha riconosciuto nella complicata matassa dell’assurda guerra in corso in Ucraina: “Una sfida per statisti saggi, capaci di costruire nel dialogo un mondo migliore per le nuove generazioni”. Non si vede un cammino in tal senso così, purtroppo, la sfida continua a rimanere aperta e la strage si perpetua.