“Penso che un’urgenza fortissima per la Chiesa sia l’educazione dei giovani all’affettività”. Ne è sicuro l’arcivescovo di Lucca Paolo Giulietti, che da un anno è presidente della Commissione episcopale Cei per la famiglia, i giovani e la vita, oltre a essere il delegato della Conferenza episcopale toscana per lo stesso ambito pastorale.
Nei giorni in cui la Chiesa vive il decimo incontro mondiale delle famiglie, il suo sguardo va al contesto particolare in cui questo evento si svolge.
Che strada sta facendo la Chiesa sul tema della famiglia?
È impegnata nella recezione di Amoris Laetitia, e sulle prospettive pastorali per tradurre in pratica questo documento pieno di novità. Anche l’idea del nuovo documento sul catecumenato prematrimoniale, uscito in questi giorni, viene da Amoris Laetitia che chiede di cambiare l’impostazione tradizionale dei corsi di preparazione al matrimonio. Tutte novità che vanno metabolizzate e tradotte in pratica. Ho partecipato all’incontro mondiale delle famiglie di Dublino nel 2018, anche lì si avvertiva che c’era un nuovo da accogliere.
Quali sono le urgenze su cui le parrocchie devono lavorare nell’ambito della pastorale familiare?
Penso che un’urgenza fortissima sia l’educazione all’affettività. Siamo in un momento in cui tutti i temi affettivi passano attraverso canali non controllati dagli educatori: la musica, gli smartphone… Oggi i giovani apprendono l’affettività da questi canali, non più dalla famiglia, dalla parrocchia, dalla scuola. Questo è molto sfidante perché assistiamo a una precocizzazione della sessualità e quindi al venir meno di tutto quel campo valoriale, emotivo, ideale che invece fa parte dell’approccio all’affettività. Alcune scelte problematiche che avvengono nell’adolescenza sono preparate nell’infanzia o nella seconda infanzia in una totale dissattenzione della comunità educante, del “villaggio educante”. Si arriva così a un’affettività non stabile: l’idea di matrimonio, ma anche di stabilità, oggi vacilla. Questo mina la stabilità affettiva e incide poi sulla progettualità di coppia, sulla natalità… Una grande sfida per tutti quelli che vedono nel rapporto tra uomo e donna una cosa seria, comunque la si viva, dentro o fuori un discorso di fede. Dobbiamo porre le basi per un approccio integralmente umano, prima ancora che cristiano, alla dimensione affettiva della vita.
L’altro grande tema di cui si parla spesso è quello delle cosiddette “situazioni irregolari”: l’accoglienza di separati, divorziati…
Anche questa è una frontiera che Amoris Laetitia ha aperto e su cui si sta lavorando, a livello ancora sperimentale. Fra l’altro il Papa ha auspicato che dopo il documento sulla preparazione al matrimonio, ne esca uno su questi temi. C’è una confusione che può essere anche positiva, c’è il tentativo di aprire processi, di mettere insieme servizi… È un tema caldo.
Il tema dell’incontro mondiale è “famiglia come via di santità”. Come si traduce questo auspicio nella realtà?
È un tema che aiuta a capire la dimensione sacramentale del matrimonio: nemmeno i cristiani hanno chiaro che il matrimonio è un sacramento, non è qualcosa che si aggiunge allo stare insieme ma è costitutivo di una realtà nuova. La coppia è una forma di vita cristiana nuova in cui la santità, cioè la conformazione a Cristo, si realizza nel rapporto reciproco fra i coniugi, e nell’apporto che la coppia dà alla vita della comunità cristiana e della comunità civile. Se non si capisce questo, se quello che conta è l’individuo e non la famiglia, non si capisce perché valga la pena sposarsi. Se invece la dimensione di coppia viene assunta come luogo di santità delle persone, si capisce meglio il valore sacramentale del matrimonio. È in grande aumento la convivenza tra persone battezzate: questo vuol dire non comprensione della natura del percorso di coppia.
Molte delle coppie che chiedono di sposarsi in chiesa oggi sono già conviventi.
Ormai la normalità è che su 10 coppie che si preparano al matrimonio, 8 o 9 sono conviventi, l’eccezione è diventata la non convivenza. Questo da una parte dice che i corsi devono cambiare: uno che ha fatto una scelta di coppia difforme da quello che dice la Chiesa, e lo ha fatto non per costrizione ma per libera volontà, deve fare un percorso di rientro nella comprensione del percorso di coppia, un catecumenato inteso come percorso di riavvicinamento alla vita cristiana. C’è da capire il battesimo, prima ancora che il matrimonio.
Ci sono anche molte coppie non sposate che si avvicinano alle parrocchie per chiedere i sacramenti per i figli…
C’è da distinguere le varie situazioni. I conviventi, per accedere ai sacramenti hanno davanti una prospettiva semplice, quella di sposarsi. La vera coppia in sofferenza è quella di chi non si può sposare perché ha un matrimonio alle spalle. Qui il discorso cambia. Qui ci sono dei percorsi da fare. C’è da verificare la possibilità di dichiarazione di nullità per il matrimonio precedente, e qui le cose sono molto cambiate dal passato per quanto riguarda tempi, modi, costi. Laddove non si possa fare, la Chiesa deve essere madre e mettere in campo dei percorsi che consentano a queste persone di tornare a una prassi della vita cristiana, anche sacramentale.
Questo è un tema che suscita grande dibattito.
Però bisogna essere precisi: a questo grande dibattito non corrispondono grandi numeri, coppie che si mostrano interessate a questi tipi di percorsi non sono molte. C’è da chiedersi perché. Ci può essere la coppia che lamenta un disagio perché alla Prima Comunione del figlio non può fare la Comunione, o perché non può fare da madrina al nipote che si cresima, ma poi non va mai alla Messa domenicale. Il problema allora non è l’irregolarità, è risvegliare un desiderio di vita cristiana. Io sono stato parroco, ho avuto qualche volta da discutere per questo tipo di situazioni. Situazioni di sofferenza o di conflitto cui però spesso non corrisponde un reale interesse a partecipare alla vita della comunità ecclesiale. Il discorso è complesso, ha molte sfumature.
Un altro grande punto di sofferenza nelle parrocchie è come coinvolgere i genitori e le famiglie nel catechismo dei figli.
Per molti è un’opportunità di riavvicinamento, che però per diventare vero deve fare dei passi, una riscoperta vera della fede nella vita di coppia. Questo non sempre avviene.
Le nuove norme introdotte da papa Francesco hanno rilanciato il tema dei ministeri laicali, aperti anche alle donne. Quale ruolo c’è per le coppie di sposi nelle parrocchie?
Vedo il rischio che questa nuova ministerialità metta a rischio la ministerialità sacramentale che ogni coppia di sposi ha già, in quanto tale. I laici sposati esercitano già una ministerialità anche senza diventare accoliti, lettori o catechisti ma per il fatto che da sposi hanno un compito nella Chiesa e nella società. Non serve nulla di più. Ma mentre nessuno mette in dubbio che un prete sia un ministro di Dio, purtroppo pochi pensano che la coppia abbia un suo specifico ministero. I nuovi ministeri laicali non devono mettere in ombra, con i vari compiti che comportano all’interno della comunità, quei compiti che sono già compresi nel sacramento del matrimonio. Nella prassi pastorale questo deve ancora essere compreso. Ci sono esempi di coppie che fanno grosse cose, a livello di testimonianza dell’amore cristiano nel mondo. Tradurre questa ministerialità nella Chiesa è complesso, la Chiesa è ancora pensata su un modello di ministerialità clericale, l’identikit del ministro è il prete. La ministerialità laicale non dovrebbe essere pensata secondo modelli clericali. Il ruolo che la coppia cristiana, attraverso il battesimo e il matrimonio, può esercitare nella comunità è ancora da tradurre in prassi concrete. Questa sarà la sfida, secondo me, della pastorale familiare del futuro.
(Intervista originariamente pubblicata su “Toscana Oggi”)