Nel 1506 Papa Giulio II approvava la Messa e l’Ufficio della Sindone fissandone la festa il 4 maggio. Veniva così riconosciuto il ruolo che la Sindone con la sua immagine può rivestire dal punto di vista pastorale, catechetico e spirituale. La decisione del Papa non nasceva dall’alto, ma rispondeva a una richiesta dei sovrani sabaudi che, a sua volta, interpretava una devozione popolare diffusa, così come è accaduto e accade per la maggior parte dei culti particolari.
L’autorizzazione al culto non è una dichiarazione di “autenticità”, nel senso che siamo stati abituati a dare oggi a questo termine. La questione dell’origine della Sindone esercita un peso sulla possibilità della sua fruizione, sia essa ecclesiale o più universalmente spirituale. Spesso autori e libri non riescono a prescindere da tale condizionamento, modellando la propria esposizione e la valutazione delle fonti su convinzioni personali preesistenti, subordinando ogni possibile fruizione della Sindone alla questione dell’autenticità.
La Chiesa non si è mai espressa in merito, evidenziando due livelli possibili di approccio.
Il livello più spontaneo riconosce il valore prioritario dell’immagine. Come magistralmente ha scritto mons. Giuseppe Ghiberti, la comprensione dell’immagine è prescientifica in quanto oggettiva, così come è di immediata percezione l’innegabile rimando ai Vangeli. Uno studio scevro da pregiudizi della storia della Sindone conferma che il suo valore in quanto immagine è preminente.
C’è poi il problema se si possa la Sindone una “reliquia della Passione del Signore”: tale connotazione non è più immediata, in quanto presuppone un approfondimento successivo dei risultati della ricerca sul Telo. Si tratta, cioè, di una valutazione di fatto soggettiva, in quanto una volta acquisiti i dati che tale ricerca offre, ciascuno è chiamato a effettuare una personale valutazione critica circa le probabilità che la Sindone sia collegabile o meno al sepolcro di Cristo.
San Giovanni Paolo II, tenendo conto di questi due aspetti, definì la Sindone “specchio del Vangelo” e “provocazione all’intelligenza”. Rovesciare le priorità rischia di mortificare il messaggio universale e profondo di quell’immagine che la Provvidenza ha voluto lasciarci.
Certo si può essere convinti che i dati che conducono al Sepolcro siano convincenti, ma si deve convenire che non sono e non saranno mai definitivi, proprio per i metodi e i limiti intrinseci alla ricerca scientifica. Lo affermò con grande lucidità nel 1902 il primo ricercatore che interrogò la Sindone: Ives Delage, celebre zoologo francese, che pur professando il suo agnosticismo non esitò a fare affermazioni in tal senso, tra la riprovazione di ampia parte del mondo scientifico dell’epoca. Le sue riflessioni in tema rimangono un esempio di onestà intellettuale su un argomento che ancora oggi porta ad interrogarsi sul tema ben più ampio del rapporto tra scienza e fede.
Se dunque come credenti vogliamo trarre frutto dalla contemplazione della Sindone, di cui in questi giorni celebriamo la festa, impariamo a non lasciarci condizionare da una discussione che, se pur lecita ed affascinante dal punto di vista intellettuale, portata alle estreme conseguenze oscura il profondo messaggio che il legame di quella immagine con il Vangelo ci offre.Ricordiamo che la Sindone ha due punti di riferimento ben precisi: in quanto immagine ha bisogno di poter essere guardata, e quindi necessita della nostra presenza come uomini che la osservano con gli occhi del corpo e dell’anima.
Ma dall’altra parte c’è un riferimento imprescindibile: ed è Gesù Cristo.
Se non ci fosse questo rimando, la Sindone non susciterebbe tutto l’interesse e tutte le polemiche che la circondano. Come afferma con grande acutezza un teologo contemporaneo, “senza Cristo la Sindone semplicemente non sarebbe”.
(*) direttore del Centro di studi sulla Sindone