Sabato 11 aprile 2015, Vigilia della II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia, davanti alla Porta Santa della basilica di San Pietro e alla presenza di Papa Francesco, veniva letta la “Misericordiae vultus”, la Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia. Nel documento anche l’intenzione di Bergoglio di inviare i Missionari della Misericordia. “Saranno un segno della sollecitudine materna della Chiesa per il Popolo di Dio, perché entri in profondità nella ricchezza di questo mistero così fondamentale per la fede”. Il loro servizio pastorale si sarebbe dovuto concludere con la chiusura della Porta Santa, ma nella lettera apostolica “Misericordia et misera” del 20 novembre 2016, il Pontefice annunciava il desiderio di prolungare il ministero “fino a nuova disposizione”.
Ma chi sono i Missionari della Misericordia? Il numero è in costante aumento, ad oggi sono 1.040 sacerdoti ai quali il Papa ha conferito l’autorità di assolvere anche quei peccati riservati alla Santa Sede. Le loro attività sono gestite e animate dal Pontificio Consiglio per la Promozione della nuova evangelizzazione, promotore tra l’altro del III Incontro Mondiale dei Missionari della Misericordia, apertosi a Roma sabato 23 aprile.
Per l’evento, atteso da due anni ma sospeso a causa della pandemia, in 400 sono giunti da varie parti del mondo. Tra questi alcuni sacerdoti ucraini per i quali è stato necessario un visto particolare per lasciare il Paese. L’Incontro si conclude questa mattina con l’udienza di Papa Francesco nell’Aula Paolo VI. Ieri, II Domenica di Pasqua, i sacerdoti hanno concelebrato la Messa a San Pietro. Don Aldo Buonaiuto, sacerdote della Comunità Papa Giovanni XXIII, ha partecipato alla liturgia “con grande emozione” e sottolinea la “particolare attenzione” che il Papa ha per i Missionari della Misericordia, icona della “sua lunga mano nell’assolvere i peccati a tutti e per sempre, come ha ribadito con forza e passione nell’omelia. Siamo chiamati ad essere operatori di riconciliazione verso chiunque cerca il perdono, andando, come Chiesa in uscita, a fasciare le piaghe di Cristo negli ultimi, nelle persone smarrite, in quelle che hanno bisogno di ritrovare quella pace che porta gioia e perdono con lo Spirito del Risorto”. Da quando ha ricevuto il mandato sei anni fa, don Bonaiuto ha incontrato centinaia di persone che, “anche attraverso l’ispirazione di Papa Francesco, hanno cercato i Missionari della Misericordia per il loro particolare incarico, e qualcuno è tornato in confessionale dopo 50 anni”.
Don Marco Frisina, rettore della Basilica di Santa Cecilia in Trastevere, fondatore e direttore del Coro della diocesi di Roma, non ha potuto partecipare alla Messa in San Pietro perché contemporaneamente celebrava il suo 40° anniversario di sacerdozio. Per lui essere Missionario della Misericordia è “un’esperienza sempre bellissima, un segno della misericordia di Dio che in qualche modo amplifica i sentimenti di Francesco. Il nostro ministero aiuta tantissima gente, non solo coloro che hanno commesso peccati la cui assoluzione sarebbe riservata alla Sede Apostolica, ma anche persone che hanno solo bisogno di aprire il cuore e di liberarsi da pesi che gravano sulla loro coscienza anche da decenni. Per questi uomini e donne è una liberazione vera e propria, ritrovano la serenità perduta e rivivono l’esperienza dell’amore di Dio che è sempre vicino a ciascuno di noi nonostante quello che ci rimproveriamo”.
Il ritorno alla normalità, dopo i duri anni della pandemia, per monsignor Frisina “darà nuovo impulso alla fede e nel tempo si vedranno anche i frutti di quel periodo che ha costretto i cristiani a riflettere sul loro rapporto con il Signore”. Ma per i sacerdoti che hanno ricevuto il mandato, in questi anni è cambiato qualcosa nell’esercizio del proprio ministero?
“Anche per noi missionari c’è la possibilità di un cambiamento – afferma don Giacomo Pavanello, parroco di San Giuseppe Cottolengo a Roma e sacerdote della Comunità Nuovi Orizzonti -. Anche noi siamo evangelizzati da quello che celebriamo, nel sacramento della riconciliazione c’è sicuramente una responsabilità personale oltre alla richiesta di Dio di essere intercessori della sua misericordia». Più volte don Giacomo è stato testimone di come l’incontro con il Signore e il suo abbraccio all’interno del confessionale “può portare a un cambiamento di vita”. Di questi sei anni da Missionario della Misericordia ricorda un episodio specifico. Ha ascoltato la confessione di una persona che non sapeva fosse un Missionario della Misericordia. “Dopo una fatica immane ha confessato un peccato che da anni si portava dentro – dice don Giacomo -. Quando ho spiegato che normalmente l’assoluzione di quel peccato era riservata alla Santa Sede ma che in quel momento si trovava davanti a uno dei mille sacerdoti che nel mondo ha questa facoltà, abbiamo capito che l’incontro era stato guidato dall’alto. Forse se avesse incontrato un sacerdote impossibilitato a impartire l’assoluzione difficilmente avrebbe ripetuto quella dolorosa fatica”.