A compimento dei giorni di grazia della Quaresima – quest’anno così duri, severi e impegnativi, sotto la concomitante ombra della guerra -, siamo introdotti nella passione del Signore e Maestro nostro: attratti a uno sguardo stupito, contemplativo, che ci dischiude traccia per comprendere il filo, altrimenti indecifrabile, dei nostri giorni. Le tenebre e la grazia, i paradossi che intessono storie umane oggi roventi – lì attingono luce di senso. Impariamo la semplicità unificante del seguire lui, Gesù, sempre: anche quando ci avvenga di uscire di strada, il suo sguardo non ci perde mai di vista.
Come si esprimeva Poemen, padre del deserto egiziano del IV secolo, dinanzi allo “spettacolo” della croce possiamo riscoprire la forza rigenerante del pianto e dell’intercessione: “Il mio pensiero stava con la santa Madre di Dio, Maria, che piangeva presso la croce del Salvatore; e anch’io avrei voluto piangere sempre così”. Anche i discepoli di oggi – ciascuno, e tutti insieme – dobbiamo trovare la nostra propria postura per esserci, là dove il Signore Gesù “è in agonia fino alla fine del mondo” (B. Pascal, Pensieri, 553). Le gradi creazioni dell’arte, musicale Penso alle “passioni” di .S. Bach) e figurativa, richiamano la vocazione battesimale di ogni cristiano: esprime e nella vita la propria lectio passionis.
Tutta la narrazione evangelica – tutta la ricerca d’ogni umana esistenza – tende qui, e da questa luce ogni vita umana è spiegata, è rilanciata come da luce orientante per la narrazione intelligente dell’oggi, delle innumerevoli, orribili croci innalzate nella storia presente. Anzi, tutta la Rivelazione attestata nelle Scritture, nel cosmo, nell’anima umana, trova compimento di luce nella passione di Gesù.
Raccontare la storia di una vita, è – in ogni caso di esistenza umana – un atto di fede, che coinvolge radicalmente il narratore. Mistero è ogni vita umana. Tanto più, e incommensurabilmente generativo è narrare nella fede la storia di Gesù, fino alla morte di croce. E Luca lo sa, lo dichiara in apertura al suo Vangelo: non si tratta di una cronaca semplicemente oggettiva, sono le ragioni roventi della fede, del senso, che vengono trasmesse al “teofilo” (Lc 1,4) – a chi è attratto da Dio. È un atto di amore, narrare. È un atto testimoniale, martiriale. Un atto pericoloso. Un atto che sta conficcato nella radice del compimento della rivelazione: i Vangeli sono il compimento del rivelarsi di Dio.
Ebbene, leggere questi testi – soprattutto il racconto dell’ingresso regale in Gerusalemme, dell’ora della passione che è il culmine, il nucleo infuocato della vita di Gesù -, leggere è l’atto di fede radicale, tra i più decisivi. E, ogni volta che si rinnova nella celebrazione, è atto epocale, che corrisponde all’ispirazione dell’evangelista: genera l’atto di leggere gli eventi della storia nella fede. Leggere nella fede è infatti un atto altrettanto rischioso che scrivere: “Scriptura cum legente crescit”, ‘la Scrittura cresce con chi la legge’, dice Gregorio, e carica di responsabilità questo atto della fede adulta, che in questi giorni di Pasqua c’impegna – personalmente e come chiesa.
Perché Dio si è rivelato Dio attraverso la storia. Presenza che salva, ma attraverso l’uomo Gesù, la nascita, la nuova nascita, dell’uomo libero. Salva, attraverso una libera assunzione del legame con la nostra storia, dentro la storia sacra. La passione di Gesù, i questo legame è il cuore. Gesù chiama questo legame, provocatoriamente, pericolosamente: “necessitas”.
La Domenica delle Palme segna il varco, la soglia: apre la Settimana Santa con la lettura drammatica della Passione di Gesù. Quest’anno, nella versione di Luca. Per alcuni di noi è una storia udita sin dall’infanzia, eppure leggerla non è mai fatto scontato: possiamo comprenderla completamente solo quando entriamo completamente, corpo e anima, oggi, in essa. Ogni anno ci viene data – nello spazio generativo della celebrazione – la possibilità di partecipare ad essa come un nuovo inizio, così che possa più profondamente entrare in noi, e noi in quella Passione.
Luca segue il filo comune dei gli evangelisti che lo precedono, ma – seguendo una sua intelligenza del mistero di Gesù. Quasi un terzo dei versetti del suo racconto della passione sono redatti proprio da Luca. E questi interventi lucani nella narrazione riguardano soprattutto Gesù, ma anche alcuni personaggi della passione, molto illuminanti per delineare il posto del discepolo dinanzi al Signore e Maestro. Nella sua narrazione, l’evangelista “mansuetudinis Christi” sottolinea l’approdo di Gesù a Gerusalemme, meta lungamente agognata (9,51) tra desiderio e angoscia (12,50). La città “che uccide i profeti”, ma anche il luogo in cui lo Spirito creerà una cosa nuova. Nelle sue pennellate proprie, Luca qualcosa sposta altrove (l’unzione). Qualcosa riesprime (discorso a cena) diversamente dagli altri. Qualcosa aggiunge (donne, parole di Gesù sulla croce, e dei due malfattori). Qualcosa collega con un nucleo originario di senso: in particolare a uno snodo centrale della narrazione Luca pone la profezia isaiana del Servo applicata a Gesù (Is 53,12: Lc 22,37). Da cui appare che Gesù si auto comprende davanti alle Scritture, e in particolare i canti del Servo fano da sfondo e offrono il linguaggio simbolico alla narrazione dei successivi momenti della passione. (cfr anche At 8,26-40).
Luca in questo racconto rivela con intensità unica il tratto che contraddistingue tutto il suo Vangelo: la particolare attenzione all’interiorità, ai movimenti che si agitano nel cuore umano. Così, la prova di Gesù al Getsemani che si fa “agonia”, lotta estrema contro il potere delle tenebre che si fa sudore che scende come gocce di sangue. Sulla croce, la sua umanità viene in piena luce e splendono la mitezza e l’estrema compassione verso i peccatori, la fiduciosa invocazione del perdono. Al suo fianco sulla croce si rivelano anche i sentimenti dei due crocifissi con lui. L’attenzione ai sentimenti, alla disposizione interiore, non si riferisce soltanto a Gesù, ma al profilo interiore di tutta la vicenda umana che in quell’ora è condensata.
E noi, dove siamo? Discepoli attraversati dall’ombra di quella incomprensione che fu già dei prossimi di Gesù, dei “suoi”: prima dei nazaretani (Lc 4,14ss.) e, nell’ora ultima, degli stessi Dodici, persino da Simone. Dobbiamo saperlo. Luca, con la sua narrazione propria, ci conduce a fare Pasqua con Gesù in verità.
Lo “spettacolo” (Lc 23,48) visto con lo sguardo del cuore proteso al morire di Gesù, visto con l’amorosa lettura di fede delle Scritture, non solo acuisce lo sguardo, imprimendo agli occhi la penetrazione propria dell’umile, ma anche rende l’occhio capace di leggere in modo nuovo la realtà. Di lacrime e pentimento. Genera conversione, sciogliendo l’impietrimento del cuore in grazia di quel morire, il morire di Gesù. Quella sola contemplazione rischiarante (Lc 23,4-49) abilita a posare sulla realtà lo sguardo che ritrova i contorni veri d’ogni cosa. Portando per via – come i due di Emmaus – tutte le domande i dubbi e le speranze deluse di questa dura storia che viviamo. La liturgia permea la vita, la vita accende la liturgia dei colori dei sapori, dei profumi e delle fatiche, delle drammatiche tonalità di questo nostro oggi – di guerra e d’anelito alla Pace.
(*) monaca di Viboldone