Sono stati davvero mesi intensi quelli che hanno preceduto l’odierna solennità di san Giuseppe. Un anno dedicato alla sua figura, una Lettera apostolica (Patris corde) per tracciarne il profilo, un ciclo di dodici catechesi nell’udienza generale del mercoledì. Un percorso voluto da Papa per “accrescere l’amore verso questo grande Santo, per essere spinti a implorare la sua intercessione e per imitare le sue virtù e il suo slancio” (PaC, epilogo). Nessuno però poteva immaginare che tale cammino si sarebbe confrontato con la follia della guerra che, in questo momento, insanguina l’Europa, mettendo in pericolo come non mai la pace mondiale e lo stesso futuro dell’umanità. Si parla infatti con troppa leggerezza di armi nucleari, di guerra nucleare, occultando il fatto – una volta lapalissiano – che ciò segnerebbe la fine del genere umano e della vita sulla Terra.
È pur vero, però, che proprio questo inaspettato e drammatico confronto indica quanto fosse provvidenziale il cammino che Papa Francesco e la Chiesa hanno compiuto. Davanti alla follia della guerra, abbiamo bisogno di uomini e di credenti come Giuseppe.
Guardando le immagini di morte che continuamente rimbalzano sui media e i volti dei milioni di profughi costretti a lasciare il proprio paese, “ci viene da domandarci perché Dio non sia intervenuto in maniera diretta e chiara […]; si ha sempre l’impressione che il mondo sia in balia dei forti e dei potenti” (PaC 5). Il “mancato intervento diretto” di Dio, da sempre, turba e scandalizza, soprattutto quando la guerra svela il suo vero aspetto ed impone le sue leggi inumane. Eppure, proprio questo “mancato intervento diretto” genera i collaboratori del Dio della pace, come Giuseppe: “Dio interviene per mezzo di eventi e persone. Giuseppe è l’uomo mediante il quale Dio si prende cura degli inizi della storia della redenzione. Egli è il vero “miracolo” con cui Dio salva il Bambino e sua madre” (PaC 5).
Il “mancato intervento diretto” non è, allora, il segno della condanna e dell’abbandono del genere umano da parte del Dio della pace; o, peggio ancora, della sua non-esistenza. È, piuttosto, “la ‘buona notizia’ del Vangelo” che “sta nel far vedere come, nonostante la prepotenza e la violenza dei dominatori terreni, Dio trovi sempre il modo per realizzare il suo piano di salvezza a condizione che usiamo lo stesso coraggio creativo del carpentiere di Nazaret, il quale sa trasformare un problema in un’opportunità anteponendo sempre la fiducia nella Provvidenza […]. Dio si fida di quest’uomo, così come fa Maria, che in Giuseppe trova colui che non solo vuole salvarle la vita, ma che provvederà sempre a lei e al Bambino” (PaC 5).
La guerra va fermata con il coraggio creativo di Giuseppe che non teme il giudizio umano, con la sua fiducia nella Provvidenza, con il suo rifiuto della violenza; e con la consapevolezza che “ogni bisognoso, ogni povero, ogni sofferente, ogni moribondo, ogni forestiero, ogni carcerato, ogni malato sono “il Bambino” che Giuseppe continua a custodire […]. Da Giuseppe dobbiamo imparare la medesima cura e responsabilità: amare il Bambino e sua madre” (PaC 5).