“Portiamo nel cuore questo popolo!”. È l’affermazione e nello stesso tempo l’invito del Papa, nella giornata di inizio Quaresima, da lui scelta come Giornata di preghiera e di digiuno per la pace in Ucraina, giunta al settimo giorno di guerra. “La nostra preghiera e il digiuno saranno una supplica per la pace in Ucraina, ricordando che la pace nel mondo inizia sempre con la nostra conversione personale, alla sequela di Cristo”, ha detto Francesco salutando i fedeli di lingua francese, subito dopo la catechesi in Aula Paolo VI dedicata alla longevità. E alla giornata di oggi, Mercoledì della Ceneri, il Papa ha fatto riferimento anche nel saluto ai pellegrini di lingua inglese: “A tutti auguro che il cammino quaresimale, che oggi iniziamo con la preghiera e il digiuno per la pace in Ucraina, ci porti alla gioia della Pasqua con il cuore purificato e rinnovato dalla grazia dello Spirito Santo”. Salutando, infine, “tutti i polacchi”, Francesco li ha ringraziati con queste parole: “Voi, per primi, avete sostenuto l’Ucraina, aprendo i vostri confini, i vostri cuori e le porte delle vostre case agli ucraini che scappano dalla guerra”. “State offrendo generosamente a loro tutto il necessario perché possano vivere dignitosamente, nonostante la drammaticità del momento”, ha proseguito, salutato da un fragoroso applauso dei fedeli presenti: “Vi sono profondamente grato e vi benedico di cuore”. Poi il Papa ha svelato, a braccio, la storia dello speaker che ha introdotto il saluto, Marek Viktor Gongalo: “Questo frate francescano fa lo speaker adesso in polacco, ma lui è ucraino. E i suoi genitori sono in questo momento nei rifugi sotto terra per difendersi dalle bombe in un posto vicino a Kiev. E lui continua a fare il suo dovere qui con noi. Accompagnando lui, accompagniamo tutto il popolo ucraino che sta soffrendo per i bombardamenti. Portiamo nel cuore questo popolo! E grazie a te per il lavoro!”.
“L’eccesso di velocità, che ormai ossessiona tutti i passaggi della nostra vita, rende ogni esperienza più superficiale e meno nutriente”,
ha esordito Francesco nella catechesi, facendo notare che “i giovani sono vittime inconsapevoli di questa scissione fra il tempo dell’orologio, che vuole essere bruciato, e i tempi della vita, che richiedono una giusta lievitazione”. “Una vita lunga permette di sperimentare questi tempi lunghi, e i danni della fretta”, ha assicurato il Papa: “La vecchiaia, certamente, impone ritmi più lenti: ma non sono solo tempi di inerzia. La misura di questi ritmi apre, infatti, per tutti, spazi di senso della vita sconosciuti all’ossessione della velocità. Perdere il contatto con i ritmi lenti della vecchiaia chiude questi spazi per tutti”. “È in questo orizzonte che ho voluto istituire la festa dei nonni, nell’ultima domenica di luglio”, ha spiegato Francesco, secondo il quale “l’alleanza tra le due generazioni estreme della vita – i bambini e gli anziani – aiuta anche le altre due – i giovani e gli adulti – a legarsi a vicenda per rendere l’esistenza di tutti più ricca in umanità”. “Ci vuole dialogo tra le generazioni”, ha aggiunto a braccio:
“se non c’è dialogo tra giovani e anziani, ogni generazione rimane isolata”.
La città moderna, invece, “è tendenzialmente ostile agli anziani, e non per caso lo è anche per i bambini. Scarta tanti bambini non voluti e scarta i vecchi, perché non servono”.
“L’eccesso di velocità ci mette in una centrifuga che ci spazza via come coriandoli”,
la tesi del Papa: “Si perde completamente lo sguardo d’insieme. Ciascuno si aggrappa al proprio pezzetto, che galleggia sui flussi della città-mercato, per la quale i ritmi lenti sono perdite e la velocità è denaro”. “L’eccesso di velocità polverizza la vita, non la rende più intensa”, ha osservato Francesco, esortando a braccio a
“perdere tempo con i bambini e con i vecchi,
perché loro ci danno un’altra capacità di vedere la vita”. “La pandemia, nella quale siamo ancora costretti ad abitare, ha imposto – molto dolorosamente, purtroppo – una battuta d’arresto al culto ottuso della velocità. E in questo periodo i nonni hanno fatto da argine alla disidratazione affettiva dei più piccoli”.
“Il senso della vita non è soltanto nell’età adulta, da 25 a 60 anni”,
il monito del Papa: “È tutto, dalla nascita alla morte”. “Immaginiamo una città in cui la convivenza delle diverse età faccia parte integrante del progetto globale del suo habitat”, il sogno di Francesco: “Pensiamo al formarsi di rapporti affettuosi tra vecchiaia e giovinezza che si irradiano sullo stile complessivo delle relazioni. La sovrapposizione delle generazioni diventerebbe fonte di energia per un umanesimo realmente visibile e vivibile”.
“Ci vuole una riforma”, l’invito finale: “La prepotenza del tempo dell’orologio dev’essere convertita alla bellezza dei ritmi della vita: questa è la riforma che dobbiamo fare nei nostri cuori, nella famiglia, nella società: convertire la prepotenza del tempo ai ritmi propri della vita”.
“L’alleanza delle generazioni è indispensabile”, ha concluso il Papa: “Una società in cui i vecchi non parlano con i giovani, i giovani non parlano con i vecchi, gli adulti non parlano con i vecchi e i giovani è una società sterile, senza futuro, che non guarda all’orizzonte ma guarda sé stessa, e diventa sola. Dio ci aiuti a trovare la musica adatta per questa armonizzazione delle diverse età: i piccoli, i vecchi, gli adulti tutti insieme, una bella sinfonia di dialogo”.