Ci sarà anche la Striscia di Gaza all’incontro “Mediterraneo frontiera di pace” che radunerà a Firenze, dal 23 al 27 febbraio, i vescovi delle Chiese che si affacciano sul Mare Nostrum e i sindaci delle principali città mediterranee. Promosso dalla Cei, l’evento – ideale prosecuzione di quello analogo di Bari del 2020 – è stato presentato ieri a Roma dal presidente della Cei, il card. Gualtiero Bassetti. Gaza sarà rappresentata dal Patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, pastore di “un piccolo gregge” di 134 cattolici tutti appartenenti alla parrocchia latina della Sacra Famiglia guidata dal parroco padre Gabriel Romanelli.
Quest’ultimo è in Italia per accompagnare nel seminario maggiore dell’Istituto del Verbo Incarnato (Ive) il giovane Abdallah Jeldah, 24 anni, prima vocazione religiosa della Striscia dopo tantissimi anni. “Da quando sono arrivato ho sentito molto parlare di questo evento di Firenze – dice al Sir il parroco –. Credo sia importante far udire la voce della piccola presenza cristiana della Striscia – poco più di mille fedeli, di questi solo 134 cattolici – dove vivono due milioni di musulmani. Gaza è una parte della Terra Santa perché qui transitò la Sacra Famiglia quando fuggì in Egitto, e qui passò di nuovo per rientrare verso Nazareth dopo la morte di Erode. La comunità cristiana di Gaza è ricca di santi e di martiri e, per quanto ridotta, continua la sua opera evangelica”.
Una piaga aperta. Dopo tanti anni di campagne militari e di guerre con il confinante Israele, “oggi Gaza è una piaga aperta sul Mediterraneo, una piaga lunga 40 km e larga 10. Come sono piaghe aperte la Siria, il Libano, anch’essi Paesi minati da guerre e tensioni. Noi soffriamo e gioiamo con tutti i gazawi – sottolinea il religioso – questa è la nostra missione, cerchiamo di costruire ponti, dialogando e aiutando chi è nel bisogno. In questo non siamo soli: la Chiesa, sia patriarcale che universale, ci è vicina e ci assiste materialmente e spiritualmente”. Non si può dire la stessa cosa della Comunità internazionale, “quasi dimentica – rimarca padre Romanelli, di origini argentine – della sofferenza di questo popolo. Praticamente da 14 anni un embargo imposto da Israele per colpire il governo della Striscia punisce l’intera popolazione. Questo significa che gli adolescenti di oggi non hanno mai assaporato un giorno di libertà e di pace. Ma già prima la situazione era difficile. Gaza è una enorme prigione dalla quale è complicatissimo uscire. Nemmeno guardare l’orizzonte del Mar Mediterraneo dona sollievo. Anche le onde possono rappresentare un muro”. Ne sa qualcosa Abdallah Jeldah, seminarista, nato a cresciuto a Gaza. Una vocazione fiorita sotto le bombe: “la mia famiglia – dice al Sir – mi ha sempre incoraggiato, insegnandomi a non rispondere alla violenza con altra violenza”.
“La gente, non solo di Gaza, è stufa di guerra, vuole la pace ed è questa che bisogna ricercare nei gesti e negli atteggiamenti”.
Di tanto in tanto arrivano delle boccate di ossigeno: “Per le feste di Natale – aggiunge padre Romanelli – Israele ha rilasciato 500 permessi ai cristiani locali concedendoli anche a persone di età compresa tra i 16 e i 35 anni, cosa alquanto rara. Molti sono usciti dalla Striscia per la prima volta per recarsi a Gerusalemme e a Betlemme per pregare e salutare i loro parenti. Si tratta di briciole di libertà, ma la libertà deve essere pane quotidiano per tutti senza distinzione così come la cittadinanza”.
Oasi dello spirito. “Rialzare le città distrutte dalla violenza, far fiorire un giardino laddove oggi ci sono terreni riarsi” sono alcuni dei lasciti dell’incontro di Bari del 2020 validi ancora oggi, soprattutto se riferiti alla situazione di Gaza, del Libano, della Siria. Per padre Romanelli e il “piccolo gregge” della parrocchia della Sacra Famiglia, sono impegni quotidiani che fanno i conti con la carenza di strutture sanitarie, la mancanza dei beni essenziali come l’acqua e l’energia elettrica, la povertà, la disoccupazione.
“Ma non disperiamo perché restiamo attaccati a Dio. Quando cerchiamo consolazione entriamo in chiesa e piangiamo davanti a Lui, quando vogliamo rallegrarci ci rallegriamo nel Signore. Sappiamo che siamo in un luogo di guerra e che i traumi che provoca non guariscono facilmente ma la comunità, la chiesa sono oasi dello spirito, di umanità e di fratellanza tra noi e con i musulmani.
Con questi ultimi i rapporti sono sostanzialmente buoni. Molti conoscono la Chiesa e apprezzano ciò che fa per i poveri e i bisognosi. Credo che ognuno di noi ami essere rispettato e accettato per quel che è.
Il dialogo e l’amicizia arano questa terra e la testimonianza della carità aiuta a far fiorire piccoli giardini di convivenza.
Basti pensare con quante migliaia di persone entriamo in contatto con le nostre scuole, con i nostri servizi rivolti agli anziani, ai disabili, disposti a tutelare la vita di cristiani e non cristiani”. “In questo – conclude – ci aiuta tanto la preghiera. Il 4 febbraio scorso ho avuto modo di salutare personalmente Papa Francesco che, saputo da dove venivo, ha benedetto la parrocchia e mi ha dato 134 rosari da consegnare ai parrocchiani chiedendo di pregare per lui e per tutta la Chiesa. Ed è quello che faremo anche per tutti i vescovi e i sindaci del Mediterraneo. Gaza sarà a Firenze con una forte preghiera di intercessione”.