“Io vidi il Signore” (Is 6,1): esperienza sconvolgente, singolare, quella del profeta. A cui fa eco quella dell’Apostolo (“apparve anche a me come un aborto”, 1 Cor 15,8) e a quella di Simon Pietro al lago di Gennèsaret. Tre esperienze che ci riguardano da vicino; splendido Vangelo per noi che faticosamente percorriamo insieme, come Chiesa, le strade del credere senza vedere in mezzo a una storia ambigua.
“L’anno in cui morì il re Ozia” (Is 6,1), per il profeta Isaia dovette essere un anno di storia ambigua: nonostante Ozia fosse re fedele al Signore (2 Cr 26,5), accadde che il suo cuore si insuperbì e divenne lebbroso; e morì lebbroso. Allora, dietro alla sua superbia, imperversò l’idolatria. Un popolo dalle labbra impure, dunque, è quello a cui appartiene Isaia, e di questa impurità lui stesso, solidale, si sente intriso. Una storia ambigua.
L’esperienza di Simon Pietro ha la forza di sintesi nel trittico della chiamata: su di lui si concentra il racconto lucano di vocazione dei primi discepoli. Gesù ha appena annunciato (Lc 4,14-30) l’“oggi”, il compimento della Scrittura. Ha da poco abbandonato la sua terra natale, come cacciato dal rifiuto dei compaesani. Ora, l’autorità del Maestro si rivela nella sua forza generativa di una storia “altrimenti”.
Anche se sono stanchi. Anche se sono a mani vuote dopo una notte infruttuosa. Gesù dice che devono prendere il largo e compiere quel gesto che sfida la vanità dei loro sforzi.
Questo inizio di sequela (Lc 5,1-11) – che tanto assomiglia alla fine (Gv 21) – è per noi la Parola che ci introduce, in un oggi sospeso, a tempo di nuovi inizi. È chiamata ad accogliere la chiamata di Dio nella storia, come quel carbone ardente che bruciando scava solco di novità: la purezza dell’obbedienza liberante: “Manda me!”.
Uno spavento per Isaia, uno stupore pieno di compunzione per Simon Pietro. Non so quale sentimento prevalga in cuore a chi, nella fede, cerca di accogliere oggi la vita come chiamata.
Simone in mare aperto, il pubblicano in fondo al tempio (Lc 18,13), la medesima esclamazione, e ciascuno che ascolti in verità se la sente salire in cuore: abbi pietà di me peccatore. E non è sterile autolesionismo. È meraviglia generativa.
“Lo stupore aveva invaso lui e tutti”, così opera il Vangelo nel cuore umano: uno stupore che sorge e ritorna, con colori diversi, nella liturgia e nella vita. Ogni volta è traccia di gratuito futuro in un orizzonte chiuso: per grazia di Dio sono quello che sono (1 Cor 15,10).
C’è stupore e stupore. C’è lo stupore di un momento, che – come a Nazareth – passa come i fuochi di artificio. E c’è lo stupore che genera futuro.
“D’ora innanzi sarai …”. Lo stupore che invade Simone – come già aveva invaso Isaia spingendolo ad annunciare il parto della giovane donna – riguarda l’irrompere della santità di Dio nella storia umana. Riguarda la percezione del proprio essere, peccatori, visitati dalla Misericordia e coinvolti nell’avventura della grazia. Chiamati per nome. Trasformati.
“Sulla tua parola” (Lc 5,5). È questo lo stupore che genera storia vera.
Diceva C. M. Martini concludendo il suo servizio di arcivescovo, che aveva iniziato su questo Vangelo: “Siamo chiamati a ricominciare dalla Parola, a giocare su di essa tutta la nostra vita di singoli e di Chiesa: ‘Sulla tua parola getterò le reti’ (Lc 5,5). Siamo certi che il Signore saprà ancora stupirci con la sua fedeltà e con le sue sorprese”.
Il futuro viene attraverso la porta del pieno abbandono alla Misericordia. È un “largo” da prendere con decisione, al cospetto dei serafini e pur in mezzo al popolo dalle labbra impure: “Manda me”. La decisione della libertà che si affida, che non deve giustificarsi di mani vuote, di labbra impure. Affidandosi, incontra il fuoco ardente della Misericordia.
Originata nel sacro del Tempio, o in mare aperto la decisione della libertà sorge nel kairos di uno sgomento per la sproporzione, che perdutamente si fa consegna, autorizzata unicamente dalla chiamata.
“Sulla tua parola”, in certo modo profeticamente echeggiato da quell’“eccomi, manda me” di Isaia – profezia della risposta della vergine Maria –, rimane il cuore dell’evento della chiamata e dell’obbedienza conseguente. La libertà più alta.
* monaca di Viboldone