Maria, Giuseppe, i pastori, i magi, l’universo intero si ferma ad adorare quel bambino nella mangiatoia, nella povertà di una stalla, perché non c’era posto per loro. Inaudito che il buon Dio ci venga incontro per amarci, perdonarci, salvarci.
Lo sguardo su questo mistero ci porta a chinarci sulle ferite e sofferenze dell’umanità, dei poveri.
In questo Natale non vogliamo più lasciare soffrire nessuno da solo, vivendo con sobrietà nella restituzione dei beni perché ognuno abbia una famiglia, una casa, il lavoro necessario.
Vogliamo metterci il grembiule del servizio e della condivisione e lavarci i piedi stanchi gli uni degli altri.
Lavoriamo per la giustizia perché i profughi che vediamo camminare lungo i fili spinati con i loro bimbi sulle spalle siano accolti dignitosamente; i malati di covid intubati nelle terapie intensive ci richiamano alla necessità di garantire i vaccini a tutti a partire dai paesi poveri.
Contemplativi di Dio nel mondo, come richiamava il servo di Dio don Oreste Benzi,
vogliamo impegnarci ad amare sempre, amare per primi, amare gratuitamente.
La gioia è tale quando è di tutti, quando si cammina come popolo dove il passo viene segnato dai piccoli, dai deboli, dagli ultimi.
Nella grotta di Betlemme vediamo le famiglie aperte al dono della vita, all’accoglienza di chi è ammalato, di chi vive sulla strada, delle ragazze sfruttate sessualmente, di tanti poveri che hanno perso tutto e bussano alle porte delle nostre case.
Nel Natale il Magnificat di Maria diventa la nostra scelta: ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore, ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Mentre mettiamo la spalla sotto la croce del fratello diciamo a chi fabbrica le croci di smettere di fabbricarle e, con papa Francesco, chiediamo che cessino le spese per gli armamenti e si dia lavoro ai giovani.
Così veramente Gesù bambino continua a nascere in mezzo a noi.