“E’ stata una grande emozione trovarsi dal Papa, soprattutto dopo questi due anni che hanno costituito per noi la prova più difficile del nostro lunghissimo percorso. Mi ha commosso che Francesco abbia ricordato non solo noi lì presenti;
ci ha dimostrato di avere nel cuore tutti i ragazzi, anche i più fragili che non sono stati in grado di affrontare il viaggio per venire a Roma”.
Esordisce così Francesca Di Maolo, presidente dell’Istituto Serafico di Assisi, raccontando al Sir l’incontro con il Papa che ieri ha ricevuto in udienza privata in Vaticano una delegazione dell’Istituto in occasione del suo 150° di fondazione. Una rappresentanza di ragazzi e genitori, medici, operatori, volontari, sostenitori, padri Rogazionisti e suore Elisabettine Bigie, insieme al vescovo Domenico Sorrentino e ai frati francescani del Sacro Convento. “Mi ha colpito la sua conoscenza del Serafico, quando ha rievocato la visita nel 2013 con la quale ha voluto iniziare il suo primo pellegrinaggio ad Assisi sulle orme di San Francesco – prosegue Di Maolo -, ma anche, come sempre, la sua grande umanità verso tutti i ragazzi presenti, nessuno escluso”.
E loro, i ragazzi? “Erano emozionatissimi. Da giorni, nelle loro preghiere spontanee in cui di solito ricordano la mamma e il papà, usciva sempre il nome di Papa Francesco. Più saliva l’attesa, più pregavano per lui. Ma l’emozione era palpabile anche nei genitori. E’ stata una giornata straordinaria per tutti – confida Di Maolo -, anche per i genitori che nel tempo hanno perduto dei figli a causa di malattie croniche degenerative, che ho voluto con noi perché fossero presenti anche i loro angeli”.
Nel saluto al Papa la presidente del Serafico ha ricordato che non sempre è possibile guarire, ma è sempre possibile curare. “Sì, accanto ai nostri ragazzi abbiamo imparato che anche in un corpo immobile c’è un’anima capace di volare se c’è qualcuno al suo fianco. E’ su questo che la società, anziché arrendersi, deve fare uno scatto. Si pensa che di fronte all’inguaribile i servizi non possano fare nulla; invece è proprio lì che deve scattare ‘il prendersi cura’. So per esperienza quanto le persone più fragili possano sorprenderci insegnandoci che la pienezza della vita è sempre possibile. Se la sai cogliere ed accompagnare con amore, la vita ti sa sorprendere, sempre. E’ la scuola della fragilità”.
Il Papa ha detto, fra l’altro, che lo Stato e la pubblica amministrazione devono fare la loro parte. “Sì, un richiamo forte, che mi ha sorpreso, ma assolutamente puntuale perché anche il nostro servizio sanitario è strutturato con riferimento alle persone malate, ma disabilità e malattia non coincidono. Spesso chi ha disturbi del comportamento o non sa comunicare si trova in grande difficoltà in un pronto soccorso, e alcuni strumenti diagnostici sono inaccessibili per chi ha limiti di questo genere.
Occorre una maggiore attenzione per rendere i servizi sanitari accessibili a tutti, con personale formato ad accogliere le disabilità e le fragilità di tante persone.
Questo richiede un cambiamento dei paradigmi culturali: il grado di civiltà di una società si misura dalla sua capacità di prendersi cura dei più vulnerabili”.
Che cosa vi portate tornando a casa? “Oltre a questo scrigno di emozioni, abbiamo ricevuto dal Papa nuova motivazione e nuova energia. E’ come se avessimo suggellato di fronte a lui un nuovo impegno, quello di continuare a prenderci cura delle vite più fragili e indifese, andando avanti con rinnovato slancio e rimanendo sempre accanto alle famiglie”.