Le parole del profeta Sofonìa ci introducono nella III domenica del tempo forte dell’Avvento, domenica della gioia. La radice che ci porta a esultare consiste nel fatto che “Dio ha revocato la sua condanna”, Egli non è nemico dell’uomo, ma il suo consolatore, il suo amore misericordioso, sostiene la vita di ogni uomo, indicandogli, nello stesso tempo, la necessità di attuare, per il suo bene, un cambiamento esistenziale. Il tempo dell’Avvento è stato inaugurato dall’evangelista Luca, con l’invito ad alzare il nostro sguardo nel momento in cui siamo in preda ad avvenimenti sconvolgenti. Quando ci troviamo in quest’ultima condizione, infatti, avvertiamo la necessità di fare un passo in avanti, uscire dal nostro stantio, per andare verso un oltre.
Ebbene, la difficoltà non consiste nel rendersi conto delle cose necessarie da riformare, siamo infatti abili nell’accorgercene, sia nella sfera personale che in quella sociale. La complessità, però, risiede nell’attuare il cambiamento, perché, pur essendo motivati dal desiderio di apportare una novità per la nostra esistenza, tuttavia si innesta in noi il timore di abbandonare la situazione in cui ci troviamo per aderire a un qualcosa di nuovo.
Giovanni Battista ci offre la chiave di volta. La parola di Dio, che si è posata su di lui, infatti, illumina l’uomo del suo tempo, suscitando una domanda nel popolo: “Che cosa dobbiamo fare?”. Tale domanda non è confinata solo in quest’epoca, ma come una lama di luce, ha attraversato tutti i momenti salienti della storia umana. La risposta di Giovanni è chiara: nell’attesa della venuta del Messia, smettete di fare il male e siate giusti. Non è un messaggio complicato quello del Precursore, anzi pienamente comprensibile da tutti: la prima forma di cambiamento, infatti, consiste nel cessare di desiderare e compiere il male.
Non basta essere professionisti della critica, capaci, cioè, di individuare tutto ciò che dovrebbe essere riformato, se poi noi per primi non decidiamo di percorre i sentieri della giustizia.
La domanda, rivolta dal popolo al Battista, ritorna ancora nella nostra contemporaneità, in questo momento segnato dalla Pandemia, dove abbiamo preso consapevolezza delle tante cose che andavano riformate ma che, per timore o altro, non sono state realizzate. Ritornano alla memoria quelle belle parole riportate da Ignazio Silone in “Fontamara”: “Dopo tante pene e tanti lutti, tante lacrime e tante piaghe, tanto odio, tante ingiustizie e tanta disperazione, che fare?”.