Giuseppe: come apprendere dal Padre a diventare padre

Giuseppe, dopo l’irruzione dell’Altissimo, nella sua vita, ha appreso a riconoscerLo, a prestaGli fede, a comprendere che Egli era la guida in tutto quanto gli stava accadendo, a lui, modesto carpentiere che, forse, mirava ad una vita familiare semplice e ordinata e ad un lavoro, se si vuole faticoso, ma redditizio. L’irruzione, cioè l’irrompere, il frangere le barriere del vissuto naturale, di quanto si tocca e di quanto vede, e l’impeto che in lui ne veniva a seguire le parole udite, hanno portato il suo sguardo ad un altro livello: non ha visto il Volto dell’Altissimo, altrimenti sarebbe perito; non gli ha parlato faccia a faccia come Mosè, ma ha fissato il suo sguardo su di Lui, così ha potuto percorrere tutte le disavventure che si sono susseguite nella sua vita

Foto Calvarese/SIR

Se Giuseppe e la sua paternità ci hanno accompagnati (e richiamati) per un anno perché non lo può fare per gli anni a venire, siano quanti siano ancora?
L’accento dell’anno può in realtà cancellarsi? Se così fosse, davvero se non proprio tutto ma la maggioranza dell’attenzione sarebbe cancellata.
Oggi, alla chiusura dell’anno, bisogna chiedersi: quale segno ha lasciato in me? Non trovo una sorta non di cicatrice, esito di urto violento, ma di un sigillo che può diventare postura quotidiana, parte di me stesso?

La scorta silente ma educante di Giuseppe, in quanto padre, la conosciamo dalla narrazione dei vangeli. Piuttosto scarna, priva di quegli elementi che tornerebbero quali aneddoti, battute, eventi strani…eppure non saranno mancati né nell’infanzia, né nell’adolescenza di un figlio che, in un qualche modo ben diverso da altri, di problemi ne suscitava.

Assenza che deve farci pensare, non per elucubrare e fantasticare su come riempire i vuoti e renderli accattivanti ma per entrare in quel vuoto, lasciarsene avvolgere e rivolgere le nostre domande proprio a lui, il protagonista silente, Giuseppe:

– come hai fatto, così come hai fatto, a tollerare la vicinanza di un simile figlio senza agire, programmare, mettere in atto un progetto che ne rivelasse l’identità?

– come hai fatto, così come hai fatto, a prenderti cura, che significa sopperire ad ogni bisogno, concreto ed educativo, nel vederti crescere accanto un figlio che più di fare il carpentiere come te, non ha fatto?

Si potrebbe parlare di quella fedeltà all’alleanza di cui il popolo eletto, Israele, è il portatore da secoli, proprio anche grazie alle proprie infedeltà da cui si è convertito.
Sarebbe un buon passo e magari potesse divenire realtà portante e feconda.
Potrebbe però risultare anche abbastanza statico o acquiescente.
Ancora, potrebbe trattarsi di una scelta dovuta ad un carattere ferreo, deciso che, presa la decisione una volta, non pensa neppure ad arretrare o a fare marcia indietro.
Magari anche queste componenti hanno la loro voce e il loro portato ma intravvedo qualche cosa di più ed è questo che dovrebbe trapassare in noi e mai più lasciarci.

Giuseppe, dopo l’irruzione dell’Altissimo, nella sua vita, ha appreso a riconoscerLo, a prestaGli fede, a comprendere che Egli era la guida in tutto quanto gli stava accadendo, a lui, modesto carpentiere che, forse, mirava ad una vita familiare semplice e ordinata e ad un lavoro, se si vuole faticoso, ma redditizio.

L’irruzione, cioè l’irrompere, il frangere le barriere del vissuto naturale, di quanto si tocca e di quanto vede, e l’impeto che in lui ne veniva a seguire le parole udite, hanno portato il suo sguardo ad un altro livello: non ha visto il Volto dell’Altissimo, altrimenti sarebbe perito; non gli ha parlato faccia a faccia come Mosè, ma ha fissato il suo sguardo su di Lui, così ha potuto percorrere tutte le disavventure che si sono susseguite nella sua vita.
Senza distogliersi ha potuto valutare, soppesare e agire.
Sempre in un collegamento orante, perché in ascolto per apprendere dal Padre come diventare, a sua volta padre, per il Figlio.
Se supplichiamo Giuseppe perché non dovrebbe farci questo dono?
Il dono per eccellenza che ne racchiude tutti gli altri e, proprio perché dono, rivolto a tutti i nostri compagni e compagne di cammino, così da procedere all’unisono, consci dei bisogni altrui, avvolti in un silenzio che non suscita clamore o plauso ma procede sicuro su quella via che il Padre sta scrivendo nella storia del Figlio.

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