L’esperienza di Maria di Nazareth ci aiuta a scoprire la bellezza della dimensione umana vissuta in profondità abitata dallo Spirito e ancora oggi il confronto con la sua vita tutta consegnata a Dio ci permette di capire che cosa significa vivere da persona immacolata.
Ci sorprende la sua disponibilità a cambiare i progetti della sua esistenza accarezzati certamente con Giuseppe, il suo custode che, fin dall’inizio, è entrato nella sua vita in punta di piedi. Si è messa in ascolto dell’annuncio dell’angelo, senza rincorrere elucubrazioni mentali.
È rimasta in relazione con il messaggero di Dio, ponendo delle domande inerenti al progetto da realizzare. L’eccomi di Maria ci interroga. Piantati sulle nostre sicurezze non sempre siamo pronti ad ascoltare la Parola del Signore che ci parla, ad accogliere i progetti di bene che sono riservati a coloro che si consegnano a lui, a guardare l’umiltà dell’Altissimo che si piega sulla sua creatura per chiedere la collaborazione.
Tutta passa ormai dai nostri ragionamenti: analizziamo tutto, per scoprire che cosa ci è favorevole, e rifiutiamo le proposte che non ci consentono di sentirci realizzati. È di moda oggi affannarci per metterci al centro, contrastare l’altro, vedere il pro e il contro di ogni situazione, per mettere in evidenza l’errore della persona. È un processo che parte da sé e che non è illuminato dal senso della propria vita.
Maria, donna di Dio, accoglie nel silenzio del suo cuore l’annuncio dell’angelo e nel contatto contemplativo e mistico si consegna a Dio a cui nulla è impossibile.È un atteggiamento così umano e divino che ci insegna a lasciare aperto il nostro cuore, per rilevare gli aspetti positivi di ogni messaggio che ci giunge dai nostri compagni di viaggio.
Fa riflettere la sollecitudine di Maria nei riguardi di Elisabetta.
È la visualizzazione di chi si prende cura dei più deboli e dei più fragili. Va a trovare Elisabetta, sua parente, per condividere con lei l’impegno a custodire la vita che è in loro. Quando non sentiamo il sussulto della vita che ci abita, è perché non rimaniamo in contatto con lo Spirito: avvertiamo il vuoto come luogo di morte e non di ascolto della presenza di Dio e dell’umanità. Se la relazione con il Signore è continua, allora la vita palpita, esplode la gioia che raggiunge anche coloro che incontriamo.
A Betlemme “Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio” (Lc 1, 7). Ella ci invita a donare il Cristo che abita in noi, a riconoscere in un bimbo appena nato il figlio di Dio, ad accettare come i poveri della terra il rifiuto di chi non conosce la fragilità e la precarietà della condizione, a vivere ai margini della storia senza pretendere dagli altri, anzi adoperandosi in qualsiasi modo a “fiorire e dar frutti in qualunque terreno si sia piantati” (E. Hillesum).
Interpella il comportamento di Maria dopo la morte del Figlio suo. Insieme con i discepoli torna a Gerusalemme e con loro si ritrova nella stanza del piano superiore, dove il Maestro era solito unirsi con i suoi. Maria ha davanti a sé Pietro che ha rinnegato Gesù e i discepoli che sono scappati e lo hanno lasciato solo. Non una parola a loro riguardo, nessun rimprovero, nessuna richiesta di giustificazione, c’è solo il silenzio che viene da un cuore che ama. Ormai Gesù ha insegnato alla Madre, la prima discepola, come agire. Maria si mette accanto a loro, dà coraggio con la sua presenza e insieme pregano con perseveranza.
Guardando Maria, possiamo vedere in lei la trasparenza dello Spirito nella sua vita così umana.
Mettersi alla sua scuola è imparare a non mistificare l’umanità, ma a liberare la bellezza di Dio che è in noi,
semplicemente vivendo il Vangelo e offrendo a tutti l’amore che Dio ha impresso nel cuore di ciascuno.
Non un devozionismo sterile verso di lei, ma un’accoglienza della sua esperienza che viene dall’amore di Madre che con la sua custodia ci invia a portare a tutti gli uomini e alle donne del nostro tempo l’annuncio dell’amore fedele del Signore.