“Il discernimento è ciò che rende diversa un’assemblea ecclesiale da una qualunque assemblea democratica; esso fa leva sul dono dello Spirito del consiglio”: ad affermarlo Cettina Militello, direttrice della cattedra “Donna e Cristianesimo” presso la Pontificia Facoltà Teologica Marianum, alla conclusione del XIV Colloquio dell’Istituto Costanza Scelfo (Dipartimento della Società italiana per la ricerca teologica) che si è tenuto a Roma sul tema “Sinodalità. Del popolo di Dio?” (4-6 novembre). È il discernimento l’esercizio a cui il popolo di Dio, in tutte le sue componenti insieme, è chiamato quando intraprende un cammino sinodale. Le diocesi in tutto il mondo hanno avviato la fase locale del Sinodo universale sulla sinodalità; la Chiesa dell’America Latina è alla vigilia della sua prima assemblea ecclesiale (21-28 novembre); quella tedesca sta continuando il cammino sinodale avviato nel 2019; la Chiesa cattolica in Australia ha tenuto ad ottobre la sua prima assemblea nel contesto del suo Concilio plenario. In questo fermento è cruciale che non si tradisca il senso autentico della sinodalità, elemento “identitario e costitutivo” della Chiesa popolo di Dio, si è detto al Colloquio romano (i contributi sono accessibili QUI ). Tra i relatori, padre Giacomo Costa, direttore della rivista dei gesuiti Aggiornamenti sociali. Segretario speciale al sinodo giovani del 2018, ha seguito da vicino quello per l’Amazzonia e ora, membro del Comitato di orientamento per il sinodo 2021-2023, gira per la penisola a spiegare, raccontare, incoraggiare a partecipare al cammino delle chiese locali in Italia perché diventi momento di grazia e rinnovamento autentici. Il Sir lo ha intervistato, a margine del Colloquio.
Sinodalità è “camminare insieme”: perché si vuole cambiare o semplicemente perché è bello camminare insieme?
Le due cose non sono in opposizione. Se ci sembra così, è perché abbiamo perso la sensibilità al significato di “sinodo”, un termine tecnico che rischia di sembrare astratto. Invece contiene due elementi essenziali e molto concreti. Il primo è “camminare”, e quindi dinamismo, energia: se uno non vuole rimanere dov’è, non fa “sinodo”. Il secondo è “insieme”: è la testimonianza di coloro che non si ritengono individui, ma hanno scoperto un legame profondo che li tiene uniti nella loro diversità e vogliono crescere come famiglia di fratelli e sorelle che si prende cura del creato che è stato loro affidato. Chi ha provato questo “camminare insieme” ne ha scoperto la forza e la bellezza, ad esempio i vescovi e i giovani al Sinodo del 2018, come traspare nell’ultimo capitolo del Documento finale. È la gioia del Vangelo, che non toglie le difficoltà e le croci, ma che apre un orizzonte di profonda pace e motiva ad andare avanti. Presentando il Sinodo 2021-2023, mi piace ricordare questa frase del suo Documento preparatorio: “lo scopo del Sinodo e quindi di questa consultazione non è produrre documenti, ma far germogliare sogni, suscitare profezie e visioni, far fiorire speranze, stimolare fiducia, fasciare ferite, intrecciare relazioni, risuscitare un’alba di speranza, imparare l’uno dall’altro, e creare un immaginario positivo che illumini le menti, riscaldi i cuori, ridoni forza alle mani” (n. 32)
Il protagonista del sinodo è il popolo di Dio nel suo insieme, fatto di fedeli e vescovi: un sinodo di soli vescovi può essere espressione di una Chiesa veramente sinodale?
A pensarci bene,
il vero protagonista è lo Spirito Santo, all’opera nel mondo e nella Chiesa.
È Lui che dobbiamo ascoltare come popolo di Dio, composto da tutti i battezzati con i loro diversi carismi, vocazioni, compiti, ed è Lui che ci guida nell’individuare i passi da compiere. Uno di questi riguarda il modo di articolare nella Chiesa la partecipazione attiva di tutti e l’esercizio dei ruoli di responsabilità. Il modo in cui Gesù si relaziona con gli apostoli e le folle ci offre una prospettiva di fondo a cui rimanere fedeli, che però va “incarnata” nel mondo di oggi per scoprire come “camminare insieme” e fare sì che ogni battezzato si senta effettivamente responsabile in prima persona dell’annuncio del Vangelo e i responsabili ecclesiali siano veramente autorevoli nel riconoscere e promuovere i carismi di ciascuno. Senza dubbi l’esperienza concreta di “camminare insieme” come Popolo di Dio aiuterà a comprendere sempre meglio il senso dell’autorità in quest’ottica di servizio.
Un sinodo implica la creazione di un consenso attorno a indicazioni e prospettive: il voto nei consessi sinodali è adeguato? quale il rapporto tra democrazia e sinodalità?
Più che di consenso, il Nuovo Testamento parla di concordia, che non è uniformità, ma riuscire a tracciare un cammino in cui ogni persona e ogni gruppo si sentono riconosciuti e sperimentano che c’è un posto per loro, pur con posizioni anche molto diverse dagli altri compagni di viaggio.
Se si perde qualcuno per strada non si fa sinodo,
per questo è così pressante la raccomandazione di ascoltare e far partecipare al percorso sinodale anche coloro che sono ai margini o in posizioni di svantaggio, nella Chiesa e nella società (donne, anziani, giovani, immigrati, minoranze etniche o sociali, persone con disabilità) o coloro che si fatica a riconoscere come interlocutori, come ad esempio i gruppi di omosessuali cristiani.
In questo si tocca il desiderio più autentico di una democrazia: fare sì che ognuno partecipi e contribuisca. Si sta riflettendo sugli strumenti con cui realizzarlo nel mondo di oggi. La democrazia sceglie il voto e la rappresentanza: a oggi non abbiamo alternative migliori, ma siamo anche consapevoli dei suoi limiti (ad esempio i rischi di manipolazione) e della necessità di esplorare altre strade, come la democrazia partecipativa, per evitare che resti una forma senza sostanza. Nella Chiesa non mancano occasioni in cui si ricorre al voto – prima tra tutte l’elezione del Papa –, ma abitualmente si procede piuttosto con processi che possiamo chiamare di discernimento, fidandosi di riuscire ad ascoltare la voce dello Spirito che a volte – ce lo insegnano molti episodi biblici – parla attraverso il più piccolo o l’ultimo arrivato. Questi processi puntano a integrare tutte le posizioni mettendole in dialogo, piuttosto che dividere tra maggioranza e minoranza. Ma su questo abbiamo ancora molta strada da fare.
Quali sono – nel contesto italiano – i rischi da evitare e quali le cose su cui puntare nel cammino locale che si è aperto?
Un rischio molto forte è la burocratizzazione: ritenere il cammino sinodale un compito da svolgere per fare contento il vescovo, la Cei, il Vaticano, fornendo risposte fatte a tavolino solo da pochi. Questo non interessa a nessuno: è in gioco lo stile di una Chiesa missionaria capace di annunciare oggi il Vangelo! È importante invece che ognuno, ogni diocesi, ogni gruppo e territorio faccia un passo concreto e condiviso. È questo che conta. Un ulteriore rischio è lo scoraggiamento: ho incontrato tanti che hanno preso bastonate partecipando a processi ecclesiali che non hanno portato a niente. È importante invece mantenere i piedi per terra senza suscitare aspettative irrealizzabili, ma al tempo stesso approfittare di questo spazio che si sta aprendo nelle nostre comunità. Starà a tutti coloro che si impegnano riuscire a trasformarlo in un’occasione di vera crescita.
Vedo tre cose su cui puntare, che poi sono gli ingredienti per una parrocchia, una diocesi, una Chiesa veramente sinodale. La prima è l’ascolto, che è proprio quello che ci è chiesto di praticare nella prima fase del cammino sinodale. La seconda – ne abbiamo già parlato – è la costruzione di un rapporto fecondo tra partecipazione e leadership, vivificando anche strutture che già abbiamo, come i consigli pastorali, ma che non sempre funzionano. Ma soprattutto dobbiamo puntare sulla passione missionaria: è in gioco l’annuncio del Vangelo, non una riorganizzazione interna. Adesso è il momento di concentrarsi sull’ascolto, di sperimentarlo e di imparare a praticarlo – è un punto su cui certamente serve formazione –, e di aprirsi alle sorprese che sicuramente produrrà.