Morta all’età di 33 anni dopo essere stata abbandonata dai genitori perché nata cieca e zoppa, emarginata da chi doveva accoglierla, scartata come un errore di Dio. Eppure Margherita da Città di Castello, dopo aver attraversato sette secoli grazie ai pochi che ne hanno sostenuto il culto, è ora elevata agli onori dell’altare. Il 19 settembre, nella cittadina umbra che l’ha vista crescere, si tiene la messa di ringraziamento per la canonizzazione di una “santa inaspettata”, come la definisce il postulatore generale dei Domenicani fra Gianni Festa.
Perché una “santa inaspettata”?
Il culto di Margherita è antico e risale già al 1600. Ma era rimasto circoscritto nella tradizione aulica delle memorie storiche. Un giorno ricevo la lettera di una piccola parrocchia dell’Ohio, spedita a me e al Santo Padre per chiedere la canonizzazione. Vi era contenuto il racconto di circa venti mamme americane che avevano pregato Little Margaret per una loro amica, in punto di morte e in predicato di perdere il figlio che aveva in grembo. Le mamme avevano pregato la novena ed entrambe si erano salvate. Sono rimasto stupefatto dalla lettera e ho riaperto il dossier della santa, scoprendo una ricchezza straordinaria. Il culto della beata è diffuso in tutti gli Stati Uniti e nelle Filippine, un culto popolare iniziato a partire dal 1800 per volontà popolare e non per iniziativa gerarchica. Margherita è una santa di cui non c’è stato un recupero archeologico, come accade per i santi di alcuni ordini religiosi, ma una riscoperta guidata dall’enorme diffusione di un culto nato dal popolo. Margherita è una santa viva, negli Stati Uniti è la santa pro-life invocata da migliaia di persone. Nelle Filippine è la santa delle persone disabili, dei bambini ciechi, sordomuti o con sindrome di Down.
Margherita è entrata presto nel cuore di Città di Castello.
Dopo essere stata lasciata dai genitori a Città di Castello, Margherita fa la vita di una piccola mendicante tra i poveri che le insegnano a chiedere l’elemosina. Poi una famiglia cristiana la adotta come figlia maggiore, pur con tutte le sue ferite. Diventa un poco alla volta la santa della città:
da ultima tra gli ultimi diviene una donna della carità.
Lei, che agli occhi del mondo appare uno scarto, è una luce per il popolo. È un faro che illumina, che sa vedere con la luce del cuore. Si ricorda di lei la devozione per l’infanzia di Gesù bambino e per la Sacra famiglia, la preghiera ricorrente davanti al presepe quasi a memoria della famiglia che da piccola non aveva avuto.
In un tempo così profondamente segnato dalla sofferenza, la canonizzazione di Margherita è un segno profetico?
Margherita rappresenta la piccolezza evangelica che è intramontabile e sgorga in modo carsico grazie alla preghiera del popolo. Il caso è pagano, la Provvidenza viene dal Signore. Avevamo iniziato la causa in attesa del miracolo necessario alla canonizzazione, ma poi abbiamo deciso di chiedere al Santo Padre la canonizzazione equipollente.
È stata sorprendente la risposta positiva e immediata di Papa Francesco.
Il disegno di Dio era quello di dare risposta alla richiesta di Margherita che bussava alle porte della Chiesa. Adesso il desiderio è che il Papa dichiari Margherita padrona delle persone disabili.
Perché la devozione verso la santa di Città di Castello è stata più forte all’estero che in Italia?
Per secoli il culto è rimasto confinato all’interno dell’Ordine, nel limbo dorato delle beate storiche. La ripresa del culto è avvenuta nel 1800 in quelle nazioni in cui non era ancora presente. In Italia abbiamo la tradizione di molti beati e santi medievali, che talvolta patiscono il peso del tempo e non hanno contatti con il popolo. Con Margherita è avvenuto qualcosa di simile a quanto accaduto con Charles de Foucauld, morto sconosciuto e frustrato nel desiderio di dare vita a un gruppo di discepoli. Dopo anni è iniziata la sua riscoperta e oggi si è giunti alla canonizzazione.
Noi storici parliamo di “santità carsica”, persone che muoiono in fama di santità per poi scomparire nelle pieghe della storia e risvegliarsi inaspettatamente.
Margherita è da molti considerata la prima santa disabile, eppure è difficile pensare che in due millenni non ci siano state persone disabili sante che abbiano operato per il Regno. È importante che la Chiesa apra gli occhi su questa realtà?
La Chiesa si è occupata per secoli del soccorso della persona disabile, la pratica istituzionalizzata dell’assistenza ha messo in secondo piano il volto delle persone e le loro risorse. Margherita era una donna attiva, che ha fatto della sua disabilità una epifania della carità. Abbandonata ha accolto, umiliata ha esaltato.
Dobbiamo finalmente riconoscere che le persone disabili non sono uomini e donne da soccorrere e includere, ma da considerare nella loro pienezza di vita. È necessario un cambio di prospettiva.
Ha un ricordo particolare delle tante storie e delle tante letture su Margherita?
Quando ho cominciato a scrivere la positio della causa di canonizzazione, ho ricevuto un meraviglioso dossier dalle Filippine che ha contribuito alla riuscita del processo. C’era una manciata di fotografie, che venivano da un villaggio sperduto in mezzo alla foresta, dove le nostre suore domenicane gestivano un orfanotrofio. In un piccolo cortile un’umile statua della beata, con gli occhi bianchi della cecità, era circondata da decine di bambini ciechi e disabili. Loro vedevano in Margherita un’amica. Per noi Domenicani è un vanto. Spesso veniamo raccontati come ammazza cristiani, per i trascorsi dell’Inquisizione, o come freddi intellettuali. Non abbiamo una bella fama ma non siamo così, e Margherita è una iniezione di gratitudine e gioia per la nostra identità.