Tutt’altro che astratto. All’Auditorium dell’HungExpo di Pest dove è in corso il 52° Congresso eucaristico internazionale, stanno prendendo la parola rappresentanti di Chiese e popoli messi duramente alla prova da conflitti, collassi economici, calamità naturali e dove il mistero dell’Eucarestia e quindi della fede cristiana è fonte di vera pace e riconciliazione. Il cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, ammette che non è stato facile arrivare a Budapest. Dall’1 febbraio, il suo Paese è caduto rovinosamente sotto un regime militare che ha preso il potere con un colpo di Stato. A lui, lo staff organizzativo del Congresso eucaristico ha affidato una catechesi sulla “pazienza”. Negli ultimi sei mesi – racconta l’arcivescovo – “la nostra gente si è confrontata con sfide a più livelli: conflitti, Covid, collasso dell’economia, disastri climatici. I cattolici hanno sofferto molto; le nostre chiese sono state attaccate. Molti dei nostri sono rifugiati nella nostra stessa terra”. Il Covid-19 con il prolungato lockdown – dice ancora l’arcivescovo – “ha privato le persone del contatto umano”; “ha rubato alle relazioni il sorriso, mettendolo dietro le mascherine”; “ha provocato perdite umane, paura, ferite e sfide anche spirituali”. “La pazienza – ha detto il cardinale – è l’unico modo in cui questo mondo può vivere in pace: la storia mostra che leader impetuosi, impulsivi e impazienti hanno portato il mondo ai disastri. La pazienza ha il potere della pace. Papa Francesco ha detto che il vero potere è nel servizio”. “Il servizio umile, gentile, paziente di Gesù è il faro guida dell’umanità nella storia”.
A dare voce al “dramma dei cristiani in Medio Oriente” che “va avanti da anni”, è stato il card. Louis Raphael Sako, Patriarca di Baghdad dei Caldei. “Le pressioni sono dure e l’emorragia dell’emigrazione continua, in paesi come Iraq, Siria, Libano. Purtroppo, l’Occidente non è consapevole delle difficoltà e dei timori che i cristiani stanno affrontando in vari Paesi”. Risuonano nel cuore di Budapest le notizie sempre più allarmanti che arrivano ogni giorno dalla Regione mediorientale. “Il radicalismo come ideologia politica e religiosa – dice il card. Sako – sta crescendo sempre di più in Medio Oriente e i cristiani ne sono vittime innocenti. Gli estremisti vogliono approfittare della situazione attuale per segnare la fine della presenza cristiana in Medio Oriente”. Ma i cristiani, in questa regione del mondo, “sono la radice del cristianesimo” e la loro presenza è “cruciale”. “Contano sul vostro sostegno”. “Condividono lo stesso sogno con tutti gli iracheni”. È il sogno “di vivere in pace, stabilità, uguaglianza e dignità” e, a parere del Patriarca caldeo, “l’unica soluzione” per raggiungere questo obiettivo “è avere uno Stato civile, laico e forte, e una democrazia reale simile a quella applicata nella maggior parte dei paesi del mondo”, capace di “abbracciare e proteggere tutte le religioni, culture, gruppi e lingue, di gestire equamente la cosa pubblica e non interferire con le scelte religiose dei suoi cittadini”.
“La situazione nel mondo è tutt’altro che semplice”. Lotte, ingiustizie, sfollamenti forzati, corruzione, guerre. “Com’è possibile la pace in un nostro mondo lacerato da innumerevoli sconvolgimenti?”. L’interrogativo risuona nel giorno in cui al Congresso di Budapest si parla di “Eucaristia: Una fonte inesauribile di pace e riconciliazione” e a rilanciarlo è il cardinale Gérald Lacroix, arcivescovo di Québec e primate della Chiesa cattolica in Canada. Il cardinale non dà risposte. Ricorda però nella sua catechesi tutte quelle persone e quei testimoni che nella storia e oggi “si sforzano di raggiungere la pace e la riconciliazione e perseguono un’aspirazione profondamente iscritta nel cuore e nella mente umana”. Sono persone che danno la vita per i loro ideali, come il pastore Martin Luther King Jr. che nel suo famoso discorso, ‘I have a dream’, invocava “l’instaurazione della giustizia universale e dell’uguaglianza tra tutti i cittadini in una società scandalosamente divisa dall’apartheid”. E come Papa Paolo VI, che all’Assemblea Onu, gridò: “L’umanità deve porre fine alla guerra o la guerra porrà fine all’umanità”. Riportando quindi il discorso al tema del Congresso, l’arcivescovo canadese osserva: “Il tipo di pace offerto dall’Eucaristia non è semplicemente un’assenza di conflitto quanto piuttosto un processo attivo, che lavora per la riconciliazione e la guarigione delle persone, delle famiglie e delle comunità. Ci permette di credere che aspirare alla pace non sia così assurdo come sembra”.