Pentecoste, “omnium festivitatum maximam”, la definisce Eusebio di Cesarea, nel 337 d.C. (in Vita Costantini, IV, 64). È la festa che sta alla sorgente di tutte le altre e che a ognuna di esse dà pienezza di accadimento. Pentecoste è una festa che non finisce, dura ancora, durerà sempre, perché al Cristianesimo dà compimento e avvenire. “Ora, finché vive la Chiesa, quel fatto che caratterizza la Pentecoste, cioè l’animazione divina dell’umanità credente, mediante l’infusione del respiro dello Spirito Santo, dura ancora, ripetiamo, durerà sempre” (san Paolo VI, Udienza generale, 5 giugno 1974).
L’effusione dello Spirito Santo, di cui noi, il creato e le creature, i popoli e le culture abbiamo uno smisurato bisogno.“Ha effuso lo Spirito Santo come voi potete vedere e udire” (At 2, 33). Così Pietro, nella piazza di Gerusalemme. La promessa di Gesù si è compiuta e si rinnova ancora con la Pentecoste che viene. Sulle continue, incessanti, inesauribili “venute” dello Spirito Santo, Gesù era stato lapidario nel Cenacolo: “Rimane presso di voi e sarà in voi” (Gv 14, 16).
Dunque, è venuto e ritorna. In realtà non se ne è mai andato.
Sì, abbiamo “visto e sentito” lo Spirito negli ultimi mesi inquieti che sono trascorsi. Quante energie spirituali più che fisiche abbiamo consumato e disperso, esaltato e investito!
È Lui che geme nei cuori di una umanità covidizzata che, come sotto le doglie del parto, invoca la nascita di un tempo nuovo.
È Lui che spera nei volti disperati e impoveriti delle genti segnate dal limite e dalle limitazioni imposte dalle misure anticoronavirus.
È Lui che si è mosso e si muoverà nell’audacia benevolente di chi non si arrende dinanzi al male e ai mali e sa farsi prossimità misericordiosa.
È Lui che sta aprendo vie nuove di fraternità a un’umanità ferita, che non trova pace, che non sa ancora scambiarsi il bacio santo dell’amicizia, già nella Gerusalemme storica, in cui non sono “lingue di fuoco” a posarsi sul capo dei credenti, ma razzi infuocati di morte.
Lui, lo Spirito, non ci farà mai annegare nei difetti e nelle colpe, ma sempre dilagare nella grazia. Servono sensi spirituali nuovi per “vedere e udire” la presenza e l’azione dello Spirito Santo, “per servire, cioè, secondo lo Spirito, che è nuovo” (Rm 7, 6) e che procede nella storia di novità in novità, di effusione in effusione; altrimenti, non avremo un’esatta concezione della vita umana e della vita cristiana, un’esatta percezione della realtà mistica e terrena della Chiesa e del suo divenire nello spazio e nel tempo. L’invisibile potenza di Dio chiede di rendersi manifesta. Eppure, ci esorta papa Francesco, “questa fiducia nell’invisibile può procurarci una certa vertigine: è come immergersi in un mare dove non sappiamo che cosa incontreremo. Tuttavia, non c’è maggior libertà che quella di lasciarsi portare dallo Spirito, rinunciando a calcolare e a controllare tutto, e permettere che Egli ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga dove Lui desidera. Egli sa bene ciò di cui c’è bisogno in ogni epoca e in ogni momento. Questo si chiama essere misteriosamente fecondi!” (in Evangelii Gaudium, 280).
Lo Spirito esige il respiro della Parola e sta suscitando profeti in ogni angolo della terra, uomini e donne chiamati a inquietare i silenzi imbarazzati di chi non sa cosa dire e cosa fare. L’alba del mondo nuovo che deve venire è ritardata dai soli limiti che imponiamo alla fede battesimale carismatica che si agita nel nostro petto. Niente e nessuno potrà mai rallentare la dynamis della Pentecoste, ma occorre situarsi nel raggio di azione, nel soffio dello Spirito Santo.
Le porte del Cenacolo stanno per spalancarsi ancora una volta: “Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità… e vi annuncerà le cose future” (Gv 16, 13). Sta compiendosi per noi, per la generazione corrente, questo giorno. Non attardiamoci a entrare nel Cenacolo, se ozio e negozio ci hanno fatto dimenticare che siamo attesi; non stanchiamoci di rimanervi, nell’attesa orante e confidente. Lui, lo Spirito Santo è venuto e viene. Veni, Sancte Spiritus!