“Una festa dell’incontro”. Così Vittorio Scelzo, incaricato per gli anziani del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, definisce la Giornata mondiale dei nonni e degli anziani, che ci celebrerà per la prima volta per volere del Papa il 25 luglio. “Io sono con te tutti i giorni”, il tema dell’iniziativa, diffuso oggi.
Il tema della Giornata evoca parole ricorrenti nel pontificato di Francesco, come vicinanza, prossimità, fraternità. Sono questi gli antidoti alla solitudine?
Quello che hanno vissuto gli anziani durante quest’anno di pandemia è la solitudine forzata, che da una parte è stato un modo per difenderli, dall’altro è un segno molto triste.
Con questa Giornata vogliamo dire che, nella Chiesa, c’è una vicinanza che non si ferma con la pandemia. Le parole ‘Io sono con voi tutti i giorni’ sono le parole con cui Gesù si rivolge ai discepoli prima dell’Ascensione: è una promessa certa, quella del Signore, che anche la Chiesa vuole rinnovare con gli anziani che sono soli.
Come ha detto Papa Francesco domenica scorsa, non ci può essere un cristianesimo a distanza: si è cristiani manifestando la vicinanza. La Giornata vuole essere un’occasione affinché i giovani escano dalle chiese, dalle associazioni, dai movimenti e vadano dagli anziani per essere loro comunque vicini.
È importante essere lontani per non diffondere il contagio del virus, ma l’essere lontani non è l’ultima parola: c’è una vicinanza che può superare il distanziamento.
Come si svolgerà la Giornata?
La prima Giornata mondiale dei nonni e degli anziani cade un momento particolare, con la pandemia ancora in corso. Speriamo che a luglio la situazione sia un po’ migliorata. Da noi molti anziani saranno vaccinati, ma essendo una Giornata che coinvolge tutto il mondo siamo sicuri che la maggior parte degli anziani che la celebreranno non potranno partecipare alla Messa che noi invitiamo ad organizzare in ogni diocesi con il vescovo. Per questo chiediamo ai giovani di uscire dalle parrocchie, dalle associazioni, dalle case per andare a trovare i nonni, gli anziani, portando loro un fiore, dei doni – magari insieme al Messaggio del Papa, che noi speriamo arrivi – per pregare con loro e vivere una vera e propria Festa dell’incontro.
Non si contano, in questo tempo di pandemia, gli anziani morti in solitudine. Si può dire che abbiamo perso, quasi nell’indifferenza generale, una generazione?
Abbiamo perso tantissime persone. I dati di qualche giorno fa ci dicono che sono stati superati i tre milioni di morti per Covid in tutto il mondo, e non è eccessivo dire che due persone su tre siano sopra i 65 anni. Si poteva fare di più? Come Dicastero, già all’inizio della pandemia abbiamo pubblicato un documento dal titolo: “Nella solitudine il coronavirus uccide di più”. È stato detto che la comorbilità è una delle cause maggiori delle tante morti a causa della pandemia, ma
il vero morbo è stata la solitudine.
Dobbiamo trovare modalità nuove per stare vicini ai nostri anziani a tutti i costi e in ogni situazione. Questo comporta anche riscoprire la centralità degli anziani nella nostra società, non soltanto come opera di carità, ma come riscoperta dei valori spirituali, sociali e umani di cui sono portatori – a partire dal valore del gratuito – e valorizzare il loro posto all’interno delle nostre comunità. Oggi siamo abituati a vedere le chiese vuote a causa del Covid-19, ma prima erano popolate di tanti anziani, che soprattutto in Europa erano numericamente la popolazione preponderante.
Per Francesco, i sogni degli anziani sono una sorta di “motore” per cambiare il mondo. Come rimetterli in comunicazione con quelli dei giovani e superare così quella frattura tra le generazioni che sembra ormai un tratto irreversibile della nostra epoca, anche prima della pandemia?
Bisogna cominciare con il far incontrare i giovani e gli anziani. L’anno scorso, con la campagna che abbiamo promosso, “Ogni anziano è tuo nonno”, ci siamo resi conto che è stata un’esperienza vitale, per i giovani come per gli anziani: c’è stato un mutuo ringraziamento che è nato dalla concretezza di un incontro. Quanto ai sogni degli anziani, non possiamo pensare di riprodurre in maniera automatica quello che hanno sognato molti anni fa, però credo che – come molti hanno fatto osservare – questo tempo sia simile a ciò che è successo in Europa dopo la seconda guerra mondiale. In quel momento c’è stato il sogno di una generazione: è con quel sogno che dovremmo confrontarci e declinarlo al presente. Il Papa, nella Fratelli tutti, parla ampiamente del sogno di un mondo rinnovato:
dalla prova della pandemia dovremmo uscire migliori, un po’ come hanno fatto i nostri nonni dopo la seconda guerra mondiale.
Non lasciare soli gli anziani è un imperativo che non dovrebbe valere solo per le emergenze. Dal vostro osservatorio, le nostre comunità sono attrezzate per una prossimità quotidiana, a partire ad esempio dall’impegno per lasciar vivere gli anziani nelle loro case?
Non è casuale che la prima Giornata mondiale dei nonni e degli anziani cada nell’Anno della Famiglia Amoris Laetitia: il posto degli anziani è la famiglia, e la loro casa. Siamo in debito nei confronti degli anziani, e il nostro primo impegno vuol essere quello di prenderci cura di loro. Nello stesso tempo,
la Giornata vuole essere anche un momento per chiamare gli anziani alle proprie responsabilità all’interno della Chiesa.
C’è una vocazione per ogni anziano, anche per chi non esce di casa: basti pensare alla preghiera di intercessione. Trasmissione della fede, custodia delle famiglie, presenza nelle parrocchie e nelle associazioni, dono dei propri sogni ai giovani, intercessione per la Chiesa e per il mondo: sono tutti compiti che gli anziani possono svolgere all’interno delle nostre comunità, affinché si rendano protagonisti della vita ecclesiale.