Per la seconda volta, Papa Francesco presiederà domani 11 aprile in forma privata la Messa nella Festa della Divina Misericordia nella Chiesa di Santo Spirito in Sassia a Roma. “La misericordia non abbandona chi rimane indietro”, aveva assicurato l’anno scorso, nella stessa occasione e nello stesso luogo: “Mentre pensiamo a una lenta e faticosa ripresa dalla pandemia, si insinua proprio questo pericolo: dimenticare chi è rimasto indietro. Il rischio è che ci colpisca un virus ancora peggiore, quello dell’egoismo indifferente”.
“Se tutto il nostro cristianesimo non ci porta alla misericordia, abbiamo sbagliato strada, perché la misericordia è l’unica vera meta di ogni cammino spirituale”.
Nella seconda udienza generale dopo l’inizio della pandemia, trasmessa in diretta streaming dalla Biblioteca privata del Palazzo apostolico, il Papa torna su uno dei temi portanti del suo pontificato, già oggetto del suo primo Angelus da papa, come ha ricordato lui stesso a braccio: da qual giorno – rivela – ha sentito e compreso che il messaggio che avrebbe dovuto dare sempre, ogni giorno, “da vescovo di Roma”, si poteva riassumere in una sola parola. Perché
“la misericordia non è una dimensione fra le altre, ma è il centro della vita cristiana: non c’è cristianesimo senza misericordia”: è “l’aria da respirare”.
“Tutti siamo in deficit nella vita e abbiamo bisogno della misericordia”, dice a braccio Francesco nella catechesi dell’udienza, dedicata alla quinta Beatitudine. “Sappiamo che, se anche non abbiamo fatto il male, manca sempre qualcosa al bene che avremmo dovuto fare”, l’analisi del Papa: “Tutti siamo debitori, tutti. Verso Dio, che è tanto generoso, e verso i fratelli. Ogni persona sa di non essere il padre o la madre che dovrebbe essere, lo sposo o la sposa, il fratello o la sorella che dovrebbe essere”.
“Coloro esercitano la misericordia troveranno misericordia, saranno ‘misericordiati’”, la reciprocità della quinta Beatitudine, “l’unica l’unica in cui la causa e il frutto della felicità coincidono”.
Ma la misericordia è un tema ricorrente in tutto il Vangelo, perché “è il cuore stesso di Dio”. Non è un caso che nel Padre Nostro noi preghiamo: “Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”.
“La misericordia di Dio è la nostra liberazione e la nostra felicità”,riassume Francesco.
“La misericordia non può essere una parentesi nella vita della Chiesa”,
perché l’incontro tra Gesù e l’ adultera è l’”icona” non solo dell’Anno Santo straordinario che si è appena concluso, ma dello stile del cristiano”. Il Giubileo finisce, il Giubileo continua: nella Lettera apostolica “Misericordia et misera” , diffusa al termine del Giubileo del 2016 – il primo dedicato da un papa tematicamente alla misericordia – Francesco afferma per cinque volte che “questo è il tempo della misericordia” e auspica una “conversione pastorale” che metta al centro i poveri e l’ascolto della gente.
“Termina il Giubileo e si chiude la Porta Santa. Ma la porta della misericordia del nostro cuore rimane sempre spalancata”. Il Papa fa risuonare le parole pronunciate durante la Messa di chiusura del Giubileo, quando addita a tutta la comunità cristiana la “via della carità”, “la strada della misericordia che permette di incontrare tanti fratelli e sorelle che tendono la mano perché qualcuno la possa afferrare per camminare insieme”. La misericordia ha anche un “valore sociale”, rimarca Francesco chiedendo di “rimboccarsi le maniche per restituire dignità a milioni di persone che sono nostri fratelli e sorelle, chiamati con noi a costruire una città affidabile”. Sono tanti i “segni concreti” di misericordia realizzati durante il Giubileo: “Eppure non basta. Il mondo continua a generare nuove forme di povertà spirituale e materiale che attentano alla dignità delle persone”. Bisogna “dare spazio alla fantasia della misericordia”, allora, per fare crescere una “cultura della misericordia” che sia “rivoluzione”, e non “teoria.
È uno sguardo inclusivo, quello del Papa: ne richiama un altro, quello in cui “rimasero soltanto loro due: la misera e la misericordia”, commenta Sant’Agostino a proposito dell’immagine evocata dal titolo del documento che chiude l’Anno Santo.
Dall’apertura della prima Porta Santa a Bangui al “mea culpa” per quando ci siamo “girati dall’altra parte” senza guardare negli occhi il povero che ci sta accanto. Misericordia, perdono, tenerezza sono le parole risuonate più spesso durante l’Anno Santo Straordinario della Misericordia: il primo Giubileo “diffuso” nella storia, celebrato per volere di Bergoglio in contemporanea, a Roma e nelle diocesi di tutto il mondo, grazie anche all’invio dei 1.142 Missionari della Misericordia. Indimenticabili le immagini dell’apertura della prima Porta Santa a Bangui, “imitata” dalle Porte Sante della Misericordia che si sono aperte nei cinque continenti. Il 30 gennaio 2016, la prima udienza giubilare del sabato – altra novità del Giubileo di Francesco – che una volta al mese vedrà affluire in piazza San Pietro decine di migliaia di persone. Di carattere privato, quasi un “blitz” a sorpresa, sono invece i “Venerdì della Misericordia” introdotti dal Papa: uno al mese, per visitare anziani, malati in stato vegetativo, tossicodipendenti, profughi e migranti, comunità di recupero per disabili psichici o per sacerdoti anziani e sofferenti, donne liberate dalla schiavitù della prostituzione, bambini e malati terminali. L’ultimo “Venerdì” giubilare, nel novembre del 2016, è la visita a una comunità di famiglie formata da giovani che hanno lasciato il sacerdozio. Dal Giubileo, una certezza che suona come viatico per l’oggi e il domani: nonostante tutto, “Dio non abbandona i suoi figli”.