“La fraternità è la sfida per il mondo intero”. Con questa frase il Papa ha riassunto il significato del suo 33° viaggio apostolico, ripercorrendone le tappe durante l’udienza di oggi, trasmessa in diretta streaming dalla Biblioteca privata del Palazzo apostolico. “Il popolo iracheno ha diritto a vivere in pace, ha diritto a ritrovare la dignità che gli appartiene”, ha affermato Francesco, a proposito delle radici religiose e culturali millenarie dell’Iraq: “la Mesopotamia è culla di civiltà; Baghdad è stata nella storia una città di primaria importanza, che ha ospitato per secoli la biblioteca più ricca del mondo. E che cosa l’ha distrutta? La guerra”.
“Sempre la guerra è il mostro che, col mutare delle epoche, si trasforma e continua a divorare l’umanità”, la denuncia di Francesco, che si è chiesto a braccio: “Chi vende le armi ai terroristi?”.
“Ma la risposta alla guerra non è un’altra guerra, la risposta alle armi non sono altre armi”, il monito del Papa:
“La risposta è la fraternità. Questa è la sfida per l’Iraq, ma non solo: è la sfida per tante regioni di conflitto e, in definitiva, per il mondo intero”.
“Saremo capaci noi di fare fraternità tra noi, di fare una cultura tra fratelli, o continueremo con la logica iniziata da Caino, la guerra?”, l’interrogativo ancora fuori testo
“Mai un Papa era stato nella terra di Abramo”, ha esordito Francesco: “la Provvidenza ha voluto che ciò accadesse ora, come segno di speranza dopo anni di guerra e terrorismo e durante una dura pandemia”. “Gratitudine”, il sentimento che alberga nel cuore del Papa: “nei giorni scorsi il Signore mi ha concesso di visitare l’Iraq, realizzando un progetto di San Giovanni Paolo II”. “Ho sentito forte il senso penitenziale di questo pellegrinaggio”, ha rivelato Francesco, definendo “indimenticabile” l’incontro a porte chiuse con il Grand Ayatollah Al-Sistani. “Non potevo avvicinarmi a quel popolo martoriato, a quella Chiesa martire – ha spiegato – senza prendere su di me, a nome della Chiesa Cattolica, la croce che loro portano da anni; una croce grande, come quella posta all’entrata di Qaraqosh. L’ho sentito in modo particolare vedendo le ferite ancora aperte delle distruzioni, e più ancora incontrando e ascoltando i testimoni sopravvissuti alle violenze, alle persecuzioni, all’esilio… E nello stesso tempo ho visto intorno a me la gioia di accogliere il messaggero di Cristo; ho visto la speranza di aprirsi a un orizzonte di pace e di fraternità. Ho riscontrato questa speranza nel discorso del presidente della Repubblica, l’ho ritrovata in tanti saluti e testimonianze, nei canti e nei gesti della gente. L’ho letta sui volti luminosi dei giovani e negli occhi vivaci degli anziani”. E in nome della fratellanza, ha proseguito Francesco citando l’incontro interreligioso, “ci siamo incontrati e abbiamo pregato, cristiani e musulmani, con rappresentanti di altre religioni, a Ur, dove Abramo ricevette la chiamata di Dio circa quattromila anni fa”.
“Continuiamo, per favore, a pregare per questi nostri fratelli e sorelle tanto provati, perché abbiano la forza di ricominciare”,
l’esortazione sulla scorta dell’incontro ecclesiale nella cattedrale siro-cattolica di Baghdad, dove nel 2010 furono uccise quarantotto persone, tra cui due sacerdoti, durante la celebrazione della Messa. “La Chiesa in Iraq è una Chiesa martire e in quel tempio, che porta inscritto nella pietra il ricordo di quei martiri, è risuonata la gioia dell’incontro”, la fotografia scattata dal Papa: “il mio stupore di essere in mezzo a loro si fondeva con la loro gioia di avere il Papa con sé”. “Un messaggio di fraternità” è stato lanciato anche da Mosul e da Qaraqosh: “L’occupazione dell’Isis ha causato la fuga di migliaia e migliaia di abitanti, tra cui molti cristiani di diverse confessioni e altre minoranze perseguitate, specialmente gli yazidi. È stata rovinata l’antica identità di queste città”. “Adesso si sta cercando faticosamente di ricostruire”, l’omaggio del Santo Padre: “i musulmani invitano i cristiani a ritornare, e insieme restaurano chiese e moschee. Fratellanza è lì”.
“Pensando ai tanti iracheni emigrati vorrei dire loro: avete lasciato tutto, come Abramo; come lui, custodite la fede e la speranza, e siate tessitori di amicizia e di fratellanza là dove siete. E se potete, tornate!”,
l’appello finale riferito alle due celebrazioni eucaristiche: quella di Baghdad, in rito caldeo, e quella di Erbil. “Lodiamo Dio per questa storica Visita e continuiamo a pregare per quella Terra e per il Medio Oriente”, l’invito: “In Iraq, nonostante il fragore della distruzione e delle armi, le palme, simbolo del Paese e della sua speranza, hanno continuato a crescere e portare frutto. Così è per la fraternità: non fa rumore, ma è fruttuosa e ci fa crescere. Dio, che è pace, conceda un avvenire di fraternità all’Iraq, al Medio Oriente e al mondo intero!”.