Vent’anni fa, il 22 febbraio 2001, festa della Cattedra di San Pietro, moriva dopo alcuni giorni di sofferenza nell’Ospedale di San Paolo padre Nazareno Lanciotti. Era rimasto gravemente ferito in seguito ad un attentato avvenuto nella canonica della missione di Jauru (Mato Grosso) la sera dell’11 febbraio, davanti a nove testimoni. Padre Nazareno aveva consacrato la sua vita al Signore ed al popolo brasiliano come missionario e poi si era incardinato nella diocesi di Caceres. Sacerdote italiano si era formato a Subiaco svolgendo i suoi prima anni di parroco in alcune parrocchie romane, poi la svolta verso il Brasile. Nella sua Jauru era arrivato dopo alcune tappe esperienziali, nell’ambito dell’Operazione Mato Grosso, con altri giovani volontari, alcuni dei quali decisero di rimanere con lui nella diocesi di Caceres legandosi a quella Chiesa povera ma bisognosa di Vangelo e di stimoli per la crescita umana, culturale e sociale. “Padre Nazareno”, come lo chiamavano tutti arrivò a Jauru nel gennaio del 1972; era un villaggio poverissimo e trovò accoglienza nella capanna-chiesa puntellata da ogni lato. All’inizio pensarono di costruire un sanatorio a causa delle tante morti ma poi, vendendo la gravità della situazione, con l’ospedale più vicino a duecento chilometri di distanza, capirono che andava realizzato un vero e proprio ospedale. C’erano tante giovani mamme che morivano di parto nel dare alla luce i figli, tanti altri per malattie curabili. A condividere con lui il sogno della missione Giancarlo Della Chiesa, Franca Pini e altri che gradualmente presero le distanze dall’Operazione “Mato Grosso” decidendo di collaborare con la Chiesa locale.
Insieme all’ospedale don Nazareno pensò alla cura dei fedeli e appena nominato parroco cominciò la costruzione di chiesette e cappelle nella foresta per l’assistenza in piccoli gruppi dei tanti fedeli. Ne costruì circa quaranta in tutta la sua vita. Fu l’inizio di una avventura che lo portò a costruire una comunità orante che aveva al centro la grande chiesa parrocchiale inaugurata nel centro di Jauru nel 1975, ma con tante cellule periferiche dove ogni giorno, anche in assenza del presbitero, si pregava, si faceva adorazione e catechesi. Accanto alla Chiesa nasce anche un ospizio per anziani e una scuola dedicata a San Francesco d’Assisi per 400 bambini. Ma l’esigenza del clero lo spinge ad avviare per un decennio anche il Seminario minore che fornì alla diocesi le prime vocazioni locali. La parrocchia dedicata a Nostra Signora del Pilar divenne il suo rifugio e il suo centro operativo. Egli ricordava sempre che la prima notte dopo il suo arrivo, prima di addormentarsi nella vecchia chiesa cadente dove era arrivato a dorso di un mulo, aveva trovato una immagine della Vergine dalla quale si sentì dire, in cuor suo, “ti stavo aspettando”. La Madonna lo aveva preceduto e fu proprio quella la sua consolazione in quella situazione difficile.
Jauru, è un a cittadina di diecimila abitanti, collocata sulla rotta dei narcotrafficanti ai confini con Bolivia; nel tempo e divenuta “una vera e propria frontiera dell’evangelizzazione”. Il primo impegno fu quello di sacerdote, attento alla morale e al bene di ciascuno in ogni ambito della società. Nell’ospedale, ad esempio, non si praticavano aborti e non si somministrava la pillola contraccettiva. Ogni sabato, dopo la Messa, incontrava con i giovani e li metteva in guardia dai pericoli della droga e della prostituzione. Diceva loro: “L’adorazione eucaristica e la devozione alla Madonna vi salveranno”. Il sacerdote fu molto amato dalla sua comunità che servì per quasi trent’anni. “Quando morì – ricorda Franca Pini – tutti dicevano: abbiamo perso un padre”. Tanto si era impegnato per il riscatto integrale delle persone, un impegno sociale mai scardinato dai valori del Vangelo.
Nel tempo aveva anche aderito al Movimento sacerdotale Mariano, fondato da padre Stefano Gobbi, divenendo il responsabile nazionale dei Cenacoli di preghiera. I punti essenziali del movimento furono le stelle della sua vita: la consacrazione al Cuore Immacolato di Maria, l’unità e l’amore al papa ed alla Chiesa, e infine il condurre i fedeli ad una vita di affidamento alla Madonna con un profondo amore per la Santa Eucarestia. Organizzava cenali di preghiera in ogni parte del Brasile e li proponeva ai giovani e alle famiglie. Aveva incontrato i suoi giovani anche nel pomeriggio di quell’11 febbraio in cui fu colpito a morte; era il giorno della Madonna di Lourdes ed aveva tenuto un Cenacolo con un centinaio di giovani. Era cosciente del pericolo che correva e quella sera, mentre dal cielo cadevano una pioggerellina leggera disse: “sono le lacrime del Cielo per me”. È lì che venne sepolto dopo la sua morte. Proprio quella sera propose ai giovani una catechesi sull’omelia di Giovanni Paolo II alla GmG del 2000 richiamando lo speciale legame con Cristo che mai delude. In un passaggio aveva anche detto loro, con un velo di tristezza, quasi di presagio:
“quando mi cercherete mi troverete sempre ai piedi del tabernacolo”.
Due uomini con il volto coperto fecero irruzione nella canonica dove il missionario stava cenando con i suoi collaboratori e alcuni ospiti. Puntando una pistola contro i presenti, chiesero loro soldi per inscenare una rapina finita male, chiesero anche dove fosse la cassaforte. Li minacciarono tutti, ma le provocazioni non sortirono effetto. Don Nazareno li tranquillizzava, i presenti avevano messo sulla tavola quanto avevano. Ma l’obiettivo dei killer era il prete; nel corso dell’atto criminale, infatti, loro stessi rivelarono che erano stati mandati da alcuni personaggi locali ai quali l’azione della Chiesa e del prete dava fastidio. “Siamo venuti per ucciderti,” gli sussurrò con voce stridula uno dei due e aggiunse “io sono il diavolo”. Poi passarono al terribile gioco della roulette russa, con un solo colpo in canna preparato in realtà per don Nazareno contro il quale fu poi sparato al momento giusto. Prima di colpirlo a morte uno dei due disse: “Sono venuto ad ammazzarti perché ci dai troppo fastidio”. Ed era la verità: la parrocchia era diventata l’argine e la protezione per tanti giovani dai pericoli della droga e della prostituzione. I due killer fuggirono lasciando lì il denaro al quale non erano interessati. Il sacerdote fu immediatamente soccorso. La polizia locale arrivò sul posto solo il giorno dopo e la sede era a meno di cento metri dalla canonica. Don Nazareno fu trasportato prudenzialmente prima a Caceres poi all’ospedale di San Paolo, dove morì undici giorni dopo; le sue ultime parole furono di perdono per i suoi assassini, alla presenza dello stesso padre Gobbi alla quale aveva anche confidato l’accaduto. Fu sepolto ai piedi del tabernacolo della sua chiesa parrocchiale. Da alcuni anni è aperta la sua causa di beatificazione.
Erano circa le sei del mattino del 22 febbraio 2001, quando padre Nazareno Lanciotti moriva dopo dieci giorni di sofferenza offerta per amore del suo popolo. Aveva offerto la sua vita al Signore versando il suo sangue sulla amata terra del Mato Grosso. Proprio in quelle ore San Giovanni Paolo II creava i nuovi cardinali dell’anno, i primi del Terzo millennio cristiano e ricordava loro il significato del rosso della porpora “per una unione maggiore con Cristo” e di essere disposti a dare la vita fino all’effusione del sangue, proprio come i martiri. Fra questi “cardini della Chiesa” anche Jorge Maria Bergoglio al quale veniva assegnata il titolo di san Roberto Bellarmino. “Voi provenite da ventisette Paesi di quattro continenti e parlate lingue diverse” disse loro san Giovanni Paolo II, ricordando che “Non è forse anche questo un segno della capacità che ha la Chiesa, diffusa ormai in ogni angolo del pianeta, di comprendere popoli con tradizioni e linguaggi differenti per portare a tutti l’annuncio di Cristo?”. Mai parole furono più profetiche di queste: “Dopo aver abbondantemente attinto alle sorgenti della misericordia divina durante l’Anno Santo, la mistica nave della Chiesa s’accinge a ‘prendere nuovamente il largo’ per portare nel mondo il messaggio della salvezza. Insieme vogliamo scioglierne le vele al vento dello Spirito, scrutando i segni dei tempi e interpretandoli alla luce del Vangelo per rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche”.
Il mondo si mostrava sempre più complesso e mutevole, a causa delle crescenti discrepanze erano nate, proprio nell’ultimo scorcio di millennio contraddizioni e squilibri, ma quei missionari italiani ed Europei “che hanno bruciato d’amore per Cristo e per lui hanno bruciato tutta la vita” dirà con gratitudine papa Francesco, lodando Dio per il dono della loro presenza nel continente latinoamericano, hanno fecondato quella terra, quei cuori sono stati il seme per far sbocciare e irrorare i primi virgulti di cristianesimo.
(Articolo pubblicato su “Parola di vita”)