“Non basta produrre cibo, ma che è anche importante garantire che i sistemi alimentari siano sostenibili e offrano diete salutari e accessibili a tutti. Si tratta di adottare soluzioni innovative che possano trasformare il modo in cui produciamo e consumiamo gli alimenti per il benessere delle nostre comunità e del nostro pianeta, rafforzando così la capacità di recupero e la sostenibilità a lungo termine”.
Richiama le parole di Papa Francesco alla Fao, il 16 ottobre scorso, Giornata mondiale dell’alimentazione e data della fondazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), Yael Rubinstein, ambasciatrice e rappresentante permanente di Israele presso le agenzie Onu con sede a Roma, Fao, Wfp (Programma alimentare mondiale) e Ifad (Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo) per ribadire l’impegno del suo Paese nella lotta contro la fame, l’insicurezza alimentare e la malnutrizione. Impegno rafforzato, a luglio scorso, dall’ingresso di Israele nel Consiglio ‘esecutivo’ della Fao, mandato di 3 anni, e dalla nomina, a partire da questo gennaio, dell’ambasciatrice a capo del Gruppo europeo dell’Organizzazione, per un mandato di 6 mesi.
Ambasciatrice Rubinstein, qual è il contributo di Israele nella lotta contro la fame e l’insicurezza alimentare?
Fermo restando le linee e gli obiettivi dettati dalla Fao, il nostro contributo è forte specialmente nel campo dell’acqua, della desalinizzazione e dell’agricoltura. Israele è noto per la sua ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica applicata all’agricoltura con soluzioni agro-tecnologiche indirizzate in particolare a risolvere i problemi legati all’acqua. Cerchiamo di trasferire le nostre capacità ad altri Paesi attraverso la formazione del personale Fao impegnato localmente. Per fare un esempio, pochi mesi fa abbiamo sostenuto dei Paesi africani alle prese con l’invasione delle locuste che distruggono i raccolti. Abbiamo inviato un team di esperti, aerei e droni per aiutare operatori Fao del posto a fronteggiare il problema. Credo sia importante condividere le conoscenze nel campo dell’agricoltura. Un lavoro che portiamo avanti grazie anche alle nostre rappresentanze diplomatiche presenti in molti Paesi in via di sviluppo, dall’America Latina all’Asia. Portare il nostro know how in campo agricolo in questi Paesi significa portarli anche alle regioni dove essi sono situati, siano essi in Asia o Africa.
Israele fa parte della Food Coalition, proposta dall’Italia e guidata dalla Fao, l’alleanza globale che mira a raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile e a fare fronte comune contro il Covid-19 che sta innescando non solo un’emergenza sanitaria mondiale ma anche una crisi planetaria con effetti catastrofici…
Il mio Paese è entusiasta di far parte dello sforzo globale per attuare i progetti che ci aiuteranno a trovare le soluzioni migliori ai problemi alimentari che affliggono l’umanità aggravati ora dalla pandemia di Covid-19. Un passo fondamentale sarà ridurre al minimo, meglio eliminare, lo spreco di cibo attraverso l’implementazione delle sinergie tra Stati, la condivisione delle conoscenze e delle tecniche per assicurare il cibo a tutti. Ci sono da guida le parole e gli appelli di Papa Francesco che ritroviamo nei suoi messaggi e nelle encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti: porre fine alla povertà in tutte le sue forme, realizzare la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere l’agricoltura sostenibile.
Dare cibo è la strada che porta alla pace e che trasforma il mondo in un luogo migliore dove vivere. È diritto delle persone avere cibo e dignità. Abbattere l’insicurezza alimentare e la fame significa anche ridurre le tensioni e i conflitti tra le nazioni.
Gli ultimi mesi del 2020 sono stati segnati da accordi diplomatici che hanno normalizzato i rapporti tra Israele e Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Sudan e Marocco. Che ricadute potranno avere questi accordi sul tema della cooperazione in campo agricolo e alimentare?
Innanzitutto vorrei ricordare che Israele ha siglato, da tempo ormai, trattati di pace con Egitto e Giordania. Più della metà del territorio israeliano è desertico, penso al Neghev dove in estate le temperature salgono anche a 45 gradi. Terre dove non c’è acqua. Con questo intendo dire che abbiamo le stesse condizioni atmosferiche di Paesi dell’Africa o del Golfo. Si tratta dello stesso ambiente naturale, dunque sappiamo bene di cosa hanno bisogno queste nazioni. Allora sarà importante avviare rapporti anche bilaterali e trilaterali così da unire forze e conoscenze per poter migliorare le condizioni di vita, soprattutto adesso che siamo assediati dalla pandemia di Coronavirus. Siamo convinti di questo approccio: aiutarci e condividere le conoscenze in campo agricolo e delle risorse idriche è necessario oltre che urgente.
In questo campo come sono, invece, i rapporti con i palestinesi?
Benché attualmente non ci sia un trattato di pace
con i palestinesi, condividiamo con loro il nostro destino.
Ci troviamo oggi a dover affrontare il Coronavirus. La distanza tra Israele e la Palestina non è propriamente una ‘distanza’, in quanto ci sono palestinesi che vivono a Gerusalemme, e quindi non c’è un vero e proprio confine. Per esempio, i palestinesi hanno chiesto a Israele di poter accedere alle vaccinazioni contro il Covid-19. E lo faremo. Lo faremo perché è la stessa terra, perché i palestinesi lavorano in Israele, gli israeliani si recano in Palestina o in varie località dei Territori Palestinesi, e se Israele verrà vaccinato e le autorità palestinesi, il popolo palestinese, non verranno vaccinati, il virus continuerà a circolare. È lo stesso destino. Condividiamo il nostro know-how anche con le Autorità palestinesi, così come con l’Egitto e la Giordania. Vorrei aggiungere anche che, per ciò che riguarda il contrasto al Covid-19, Israele è impegnato nel fornire aiuti (dispositivi di protezione ed equipaggiamenti sanitari) a tanti Paesi nel mondo. Tra questi anche l’Italia: abbiamo aiutato i sanitari lombardi a fare fronte all’epidemia nei momenti di maggiore pressione.