“Vi sono diversi carismi ma uno è lo Spirito; vi sono diversi ministeri ma uno solo è il Signore” scrive Paolo nella prima lettera ai Corinti (12,4-5) e proprio nel nome dello Spirito, papa Francesco inizia il Motu Proprio Spiritus Domini pubblicato il 12 gennaio “circa l’accesso delle donne ai ministeri del Lettorato e dell’Accolitato” (che modifica il primo paragrafo del canone 230 del Codice di diritto canonico). Seguendo la tradizione della Chiesa che ha chiamato sin dalle origini “ministeri le diverse forme che i carismi assumono quando sono pubblicamente riconosciuti e sono messi a disposizione della comunità e della sua missione in forma stabile”, Francesco ha ritenuto di occuparsi del tema ecclesiale dei carismi, specialmente di quelli più numerosi e vari di cui godono i laici nella Chiesa, visto che questi costituiscono “semplicemente l’immensa maggioranza del popolo di Dio” (EG 102).
Ha ritenuto di dover riconoscere ai carismi dei laici e delle donne la dignità di un nome e, quindi, di un mandato, di una stabilità e di un’autorità che permetta loro di poter spendere il Dono ricevuto da Dio, e riservato a tutti i battezzati, in un servizio concreto, costruttivo, di responsabilità, pubblicamente riconosciuto, nella comunità cristiana. Quanto consiste, appunto, nel “ministero”. Negare, del resto, a un battezzato di fare questo, significa pretendere di soffocare la Grazia e rendere quella persona un membro inerte del Corpo mistico di Cristo. È la preoccupazione di Francesco che, nella culla conciliare, ribadisce “l’urgenza di riscoprire la corresponsabilità di tutti i battezzati nella Chiesa e in particolare la missione del laicato” che è stata, poi, fortemente reclamata anche nel recente Sinodo per la regione pan-amazzonica (2019).
Il Motu Proprio viene al punto mettendo il focus sui diversi ministeri con la premura di chi sente di dare “una loro migliore configurazione e un più preciso riferimento alla responsabilità che nasce, per ogni cristiano, dal Battesimo e dalla Confermazione”. E lo fa distinguendo con precisione tra i ministeri ordinati e quelli non ordinati e concentrando l’interesse su questi ultimi. Si tratta, insomma, degli antichi “ordini minori” i quali, sino ad ora erano, però, consentiti solo agli uomini in quanto tappe di un percorso che portava – e porterà ancora per gli uomini – a quelli “maggiori”. Ed ecco la novità: “se per i ministeri ordinati la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale (cf. San Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis, 22 maggio 1994), per i ministeri non ordinati è possibile, e oggi appare opportuno superare tale riserva”. Le donne possono, dunque, oggi essere stabilite come Lettori e Accoliti, accompagnando, almeno sino ai due ministeri non ordinati, quel percorso che compiono gli uomini verso i ministeri ordinati del diaconato e del sacerdozio. Similmente a questi ultimi anche ad esse è garantita un’adeguata preparazione e il discernimento dei pastori. È un accesso, pertanto, dovuto allo Spirito Santo, secondo le Scritture e nell’alveo della tradizione cattolica. Fatto importante per le donne le quali si vedono riconosciuto formalmente e giuridicamente un “servizio” che molte già svolgevano da tempo e che la stragrande maggioranza dei vescovi italiani non solo non aveva impedito ma aveva spesso stimolato e richiesto. Ma il Motu Proprio apre un orizzonte ancora più vasto, rispetto alle donne, quando esprime l’auspicio che esse abbiano: “un’incidenza reale ed effettiva nell’organizzazione, nelle decisioni più importanti e nella guida delle Comunità”. Si tratta di dignità e ruoli delle donne per cui il Papa aveva già optato nell’Evangelii Gaudium:“Riconosco prontamente che molte donne condividono responsabilità pastorali con i sacerdoti, aiutando a guidare le persone, le famiglie e i gruppi e offrendo nuovi contributi alla riflessione teologica. Ma dobbiamo creare opportunità ancora più ampie per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa (…) dev’essere garantita la presenza delle donne (…) nei vari altri contesti in cui si prendono decisioni importanti, sia nella Chiesa che nelle strutture sociali” (103).
È noto a tutti come nei Paesi dove è esigua o assente la presenza anche dei ministri non ordinati uomini – oltre a quella dei diaconi e dei sacerdoti – le donne, suore e laiche, siano già non solo occupate nelle mansioni dell’accolitato e del lettorato ma spesso anche in quella di guida della comunità. Pertanto ha certamente importanza che i ministeri di queste donne vengano riconosciuti e contemplati nel Codice di diritto canonico, vengano introdotti nel servizio alla comunità cristiana nella piena autorità che il possesso del “mandato” conferisce loro; che vengano coltivati con una adeguata preparazione biblica e teologica e sostenuti anche economicamente, con quel “salario” di cui hanno diritto tutti gli “operai” del Vangelo.
Infine è pure opportuno non perdere di vista l’orizzonte di queste preziose tappe nel cammino della Chiesa rispetto alla donna, illuminate dalla Evangelii Gaudium, secondo cui: “sulla base della ferma convinzione che uomini e donne hanno pari dignità, pone alla Chiesa questioni profonde e stimolanti che non possono essere eluse con leggerezza (…) Il sacerdozio ministeriale è uno dei mezzi impiegati da Gesù per il servizio del suo popolo, tuttavia la nostra grande dignità deriva dal battesimo, che è accessibile a tutti (…). Ciò rappresenta una grande sfida per pastori e teologi, che sono in grado di riconoscere più pienamente quanto ciò comporta riguardo al possibile ruolo delle donne nel processo decisionale in diversi ambiti della vita della Chiesa” (EG 104).