Quest’anno l’Incarnazione del Signore avverrà in un contesto stravolto dall’emergenza sanitaria e dalla crisi economica e sociale. Nel corso dell’udienza di mercoledì 16 dicembre, il Papa ha auspicato un Natale più autentico ed essenziale. Di fronte alla sofferenza e alla solitudine di tanti malati, al lutto per le troppe vittime del Covid, allo sgomento per la precarietà del lavoro e per l’insicurezza di tante famiglie, quale luce di speranza può venire da questo Natale inedito? Lo abbiamo chiesto a padre Ermes Ronchi, religioso dell’Ordine dei Servi di Maria, scelto nel 2016 da Papa Francesco per guidare gli Esercizi spirituali di Quaresima per il Pontefice e per la Curia romana.
“La luce potrebbe essere quella della gloria del Signore che avvolse i pastori nella notte, e poi quella delle parole degli angeli. Anzitutto ‘non temete’, e poi quel turbinio angelico che annuncia ‘una grande gioia’”, esordisce il religioso. “‘Non temere’ o ‘non temete’ – spiega – sono esortazioni che percorrono tutte le Sacre scritture. In stagioni desolate come la nostra è importante aggrapparsi a queste parole pronunciate all’inizio di ogni annuncio, di ogni dialogo tra cielo e terra: a Zaccaria, a Maria, a San Giuseppe, ai pastori. Se io credo che il filo della vita sia saldo nelle mani di Dio, può accadere di tutto ma io non posso temere. Dio sa trarre il bene anche dal male. Credere nel domani è un atto di coraggio, di resistenza; è più facile rassegnarsi e abbandonarsi al pessimismo, fuggire. Io invece spero nel domani e metto in gioco tutto me stesso per costruire un futuro diverso. Allora
il ‘non temere’ che si sussegue ben 365 volte nella Bibbia diventa il nostro buon giorno: il risveglio di Dio ogni giorno dell’anno”.
Tre, prosegue, “le certezze cui è legata la speranza cristiana: la vita ha sempre e comunque senso; il senso della vita è positivo; questo positivo dura in eterno. Ad assicurarcelo è la Scrittura; pertanto anche nelle tenebre io continuo a credere nel sole che in quel momento non vedo”.
La forza dirompente del Natale consiste nel paradosso di un Dio, Essere perfettissimo, che ci ama così tanto da farsi uomo attraverso un neonato fragile, indifeso e povero in mezzo ai pastori in una grotta sporca e fredda. Se Dio fa questo per noi, quanto è preziosa la nostra vita per lui?
Dio considera ogni uomo più importante di se stesso al punto da trasformare il Verbo nel vagito di un neonato e di dare la vita per ciascuno di noi. Lo scopo di Gesù non è portare la gente a Dio, bensì portare Dio all’uomo. Dal tempo del Natale c’è un frammento di Lògos in ogni carne, un pezzetto di Dio in ogni uomo. Per questo in ogni pagina della nostra storia ci sono sprazzi di santità e di luce.
Natale è la certezza che la nostra carne è santa perché si è mescolata con Dio.
Nessuno può dire: qui finisce l’uomo e qui comincia Dio, perché infinito e finito si sono mescolati, sono dentro di noi in una miscela prodigiosa. Se noi ne fossimo consapevoli potremmo essere testimoni di luce. Dire “il Verbo si è fatto carne” significa che
all’interno del nostro Dna c’è il cromosoma di Dio.
Natale ci chiede di cambiare; lo fa anche il Covid dopo il quale nulla potrà più essere come prima.
Il cambiamento interiore nasce dal ricordare che davanti al male non siamo creature votate alla morte, bensì nascenti sempre alla vita, risorte. Il Natale non ci chiede grandi cose, ma di prenderci un po’ di tempo per dare spazio a Dio. Un minuto al giorno nel quale darGli spazio e cuore. Non servono grandi segni ma la volontà di metterci all’altezza del Suo cuore.
L’anticipo della messa della notte ha suscitato alcune polemiche. Lei che ne pensa?
Mi fa sorridere che qualcuno possa discutere su queste cose. Non conosciamo l’ora e la data precisa della nascita di Gesù;
non si tratta di rievocare un istante bensì un mistero,
e qualsiasi ora va bene per un mistero. L’importante è che la messa venga celebrata di notte, quando è buio. “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo”, si legge nel Prologo del Vangelo secondo Giovanni. E’ bello questo imperfetto continuativo, “veniva”; significa che questa luce continua anche oggi ad illuminare ciascuno di noi. Dovremmo pensare di più che in ogni uomo c’è questa fontana di luce. Una realtà da contemplare con stupore. La luce per illuminare e intessere relazioni tra un Dio – a Natale caduto sulla terra come un bacio – e ognuno di noi.
Uno dei protagonisti del Natale è San Giuseppe al quale lo scorso 8 dicembre il Papa ha dedicato la lettera apostolica Patris Corde.
Una lettera saporosa; vitale. Del resto Giuseppe aveva mani callose, ma al tempo stesso era capace di sognare.
Concretezza di mani che lavorano il legno e leggerezza di sogni.
Shakespeare diceva che la materia di cui sono fatti i sogni è la speranza. San Giuseppe è un uomo di speranza; nei suoi brevi sogni (tre e mezzo) l’angelo gli indica ogni volta il primo passo. Non tutta la strada. Solo il primo passo e lui parte – in senso metaforico la prima volta, letterale le altre tre – senza sapere dove andare o come sarà il cammino. Così è la nostra vita fatta di piccoli annunci e di piccole luci; abbiamo luce e forza sufficienti a metterci in cammino, e poi l’annuncio si rinnova di continuo. Così è stato anche per Giuseppe, uomo libero e con il coraggio di andare contro corrente per mettere in salvo la sua sposa incinta prima del matrimonio. Un uomo innamorato che la sogna anche di notte. Mi ha sempre colpito che l’annunciazione avvenga alla coppia. Nel suo Vangelo, Luca (1, 26-38) annuncia la nascita di Gesù a Maria; Matteo (1, 18–24) la annuncia invece a Giuseppe.
Dio non ruba spazio a nessuno: mette insieme due energie per una sinergia che faccia crescere la vita.