Sorgi, Signore, e guarda verso oriente:
vedi i tuoi figli riuniti, dal tramonto del sole al suo sorgere.
La Chiesa durante l’anno esprime attraverso la simbologia della luce la forza della novità portata da Cristo. All’inizio della veglia Pasquale il cero, immagine della colonna di fuoco, guida il popolo nel buio verso l’altare, segno della presenza del Risorto. Nella notte di Natale la tenebra della sera è rischiarata dalla stella chiomata (kometes, dalla lunga chioma) che segna la nascita di Cristo. Con il suo bagliore guida alla grotta i viandanti di tutti i tempi, ieri pastori che vegliavano il gregge, oggi popolo che nel buio cerca, immagina, desidera la grande luce del Signore, sospinto dal desiderio irrinunciabile di senso che le cose della quotidianità non riescono a riempire.
Le due celebrazioni principali dell’anno liturgico, la nascita e la risurrezione, si svolgono mentre il cielo è avvolto dall’ombra, ma l’orario non esprime né richiama cronologicamente il momento storico, quasi che i fatti salienti della vita di Gesù siano accaduti dopo il tramonto. Piuttosto la liturgia si svolge nella notte per vivere l’evento e comprenderlo per mezzo di segni.
Pur non conoscendo l’ora esatta in cui il Messia è risorto né la data in cui Egli sia nato, attraverso la simbologia della luce che squarcia le tenebre la Chiesa ci aiuta a immaginare e comprendere che la venuta del Redentore è come bagliore in un luogo oscuro, rende percepibili i contorni della realtà, definisce i confini delle cose, mostra la via della vita.
La storia della liturgia ci mostra che sempre la notte del Natale è stata caratterizzata dalla preghiera e ritmata da processioni, perché l’attesa non è tempo vuoto, ma accresce il desiderio e già essa stessa è evento, tempo in cui si manifesta la Grazia di Dio. Aspettare l’arrivo del Messia, celebrare ogni anno l’evento della sua incarnazione è riconoscere che egli ha cambiato le sorti della Storia. È attendere la pace che egli porta, descritta nella prima lettura della Liturgia delle Ore della Natività, in cui si proclama il capitolo 11 di Isaia: “Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la saggezza del Signore riempirà il paese”.
La comunità trascorre la notte della vigilia (vocabolo che esprime la vigilanza e la veglia) cantando salmi e inni e ascoltando la Parola; sottrae tempo al meritato riposo del sonno per consacrarlo con la preghiera; essere desti esprime dedizione, perché la Chiesa si prepara a vivere il giorno speciale del 25 dicembre, in cui brilla il “sole che sorge dall’alto” (Lc ı, 78). La comunità attende l’aurora e le conferisce un significato nuovo: non è solo anticipazione del giorno, tempo che segna l’apparizione della luce, ma momento in cui il Padre avvolge l’umanità “della nuova luce del Verbo fatto uomo”.
Alcune consuetudini celebrative – pur non previste ufficialmente nei riti liturgici – hanno dato enfasi durante la veglia del Natale ai segni legati alla luce, inserendo l’accensione rituale delle candele, enfatizzando il canto dell’inno Gloria a Dio con il suono delle campane, intronizzando l’immagine del Bambino. Sono forme possibili per celebrare “la vigilia del grande giorno che ha dato inizio alla nostra redenzione”; non offuscano la centralità del mistero, cioè non si sostituiscono alla contemplazione di tutto ciò che Dio fa per la salvezza dell’uomo, perché al centro è sempre il Re del cielo, che “nasce per noi da una vergine per ricondurre l’uomo perduto al regno dei cieli”.
Anche l’attesa in famiglia, condividendo una cena festosa e trascorrendo il tempo nel dialogo o nel gioco (che da sempre caratterizza il tempo dell’otium), può essere un modo per trascorrere quella notte speciale, in cui non si dorme, perché accade un evento unico, si celebra un incontro speciale. Lo annuncia la liturgia dei Vespri “Quando sorgerà il sole, vedrete il Re dei re: come lo sposo dalla stanza nuziale egli viene dal Padre”. Così lo stare insieme celebra la nascita del Bambino, l’accensione di una fiamma in un clima orante e una preghiera intorno al presepe esprimono in semplicità, soprattutto per i più piccoli, l’attesa del Messia.
Dalla liturgia parrocchiale a quella domestica, le molte forme possibili per trascorrere la veglia sono sempre caratterizzate dalla comunione tra le persone, dalla contemplazione del bambino Gesù, dalla carità che si compie nei gesti e scalda i cuori. Questo caratterizza ed esprime il senso della nascita del Signore.
Il profeta Baruc, che si legge raramente nella liturgia, ma si proclama a Natale, ci suggerisce le parole per rivolgerci al Cristo che viene: Sorgi e guarda verso oriente: vedi i tuoi figli riuniti, dal tramonto del sole al suo sorgere. Venga il Signore e trovi la Chiesa, comunità che veglia operosa, dedita alla preghiera e alla carità verso le sorelle e i fratelli!